LAVORO E SALARIO MINIMO: UN’ALTRA SFIDA EUROPEA

La presidente della Commissione europea URSULA VON DER LEYEN nel suo discorso sullo STATO DELL’UNIONE

“Per troppe persone il lavoro non paga”: a riconoscerlo è stata la presidente della Commissione europea nel suo discorso sullo stato dell’Unione il 16 settembre scorso. URSULA VON DER LEYEN ha lanciato la sfida di uno standard comune per i salari minimi. L’opinione delL’ECONOMISTA CARLO ALTOMONTE

(26/9/2020, di FAUSTA SPERANZA – Città del Vaticano, ripreso dal sito https://www.vaticannews.va/it/ )

   Il salario minimo, nel diritto del lavoro, è la più bassa remunerazione o paga oraria, giornaliera o mensile che in taluni stati i datori di lavoro devono per legge corrispondere ai propri lavoratori dipendenti ovvero impiegati e operai. Non esiste una legislazione uniforme in materia di salario minimo all’interno dell’Ue. In varie costituzioni, fra le quali in quella italiana, è sancito il diritto ad un’equa retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto. La maggior parte degli Stati adotta un salario minimo, mentre gli altri non hanno un salario minimo imposto per legge, ma delegano alla contrattazione fra le parti sociali tale decisione.

LE PAROLE DI URSULA VON DER LEYEN

“Tutti nell’Unione devono avere i salari minimi. Funzionano ed è giunto il momento che il lavoro ripaghi”. E’ quanto ha detto la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, NEL SUO PRIMO DISCORSO SULLO STATO DELL’UNIONE, al Parlamento europeo riunito a Bruxelles il 16 SETTEMBRE scorso. Un concetto ribadito con forza: “La verità è che per troppe persone il lavoro non paga, il dumping salariale distrugge la dignità del lavoro e penalizza gli imprenditori, distorce la concorrenza del mercato interno, e bisogna porre fine a questa situazione”. La Commissione avanzerà una proposta su una normativa per sostenere gli Stati membri e istituire un quadro sui salari minimi. Tutti devono avere accesso ai salari minimi o attraverso contrattazioni collettive e con salari mini statutari”. Per capire i significati, le difficoltà e le potenzialità di questa sfida, abbiamo intervistato Carlo Altomonte, docente di politiche economiche all’Università Bocconi.

   Il professor ALTOMONTE spiega che la sfida lanciata dalla presidente della Commissione europea in tema di salario minimo è in sostanza figlia dei tempi duri della crisi sanitaria e economica e soprattutto di una nuova mentalità della Commissione stessa, che si è presentata da subito come fortemente operativa. Si inserisce in una serie di misure che l’economista ricorda a partire dal provvedimento Sure legato al Recovery Fund con la quale la Commissione si è fatta carico di disoccupati e persone colpite dalla cassa integrazione nei singoli Paesi europei, a partire dall’Italia. E mette in relazione il discorso sul salario minimo ricordando che la perdita di posti di lavoro diventa un motivo di minor preoccupazione per il singolo lavoratore, quando insieme al salario minimo si istituisce un sussidio di disoccupazione che funziona come ammortizzatore sociale.

   Altomonte si sofferma anche sulle difficoltà concrete di attuare un vero e proprio salario minimo europeo. Ricorda che alcuni Paesi hanno il loro standard legato a varie politiche che andrebbero dunque ammortizzate e cita poi anche la questione del costo della vita, diverso da Paese a Paese. Ma Altomonte parla di una sfida significativa che va nella direzione di una Commissione europea che vuole difendere gli stadanrd di wellfare dell’Unione europea in un mondo di globalizzazione dove si vanno affermando altri standard ben diversi, come quello cinese ma anche lo stesso statunitense che non assicura le stesse tutele.

PRO E CONTRO SECONDO LE IPOTESI ACCADEMICHE

   Anche se le leggi sul salario minimo sono in vigore in molte nazioni, esistono differenti opinioni su vantaggi e svantaggi sulla sua eventuale introduzione.

   I sostenitori affermano che esso aumenta il tenore di vita dei lavoratori, riduce la povertà, ridurrebbe le disuguaglianze sociali, aumenterebbe il benessere lavorativo e costringerebbe le aziende ad essere più efficienti.

   Viceversa, gli oppositori lamentano il fatto che esso aumenti la povertà e la disoccupazione (in particolare tra i lavoratori non qualificati o senza esperienza) e che sia dannoso per le imprese. Un primo argomento sostiene che in un libero mercato qualsiasi limitazione introdotta da soggetti esterni (una legge dello Stato) da lato della domanda e/o dell’offerta sia ai prezzi che alle quantità (quote) di vendita e produzione, porta a un’area di mancato incontro tra domanda e offerta, quindi un equilibrio peggiore del mercato libero.

   L’introduzione di un salario minimo limita il funzionamento del mercato del lavoro, creando un divario tra lavoratori disponibili e richiesti, vale a dire disoccupazione. Argomento in senso opposto è la constatazione pratica che nessun mercato del lavoro libero e totalmente deregolamentato ha mai raggiunto l’obiettivo teorico della piena occupazione.

LE SITUAZIONI NAZIONALI ATTUALI

Sono 23 su 27 i Paesi dell’Unione Europea che lo hanno adottato, di importo molto variabile anche in relazione al costo della vita locale. Il Belgio si differenzia dagli altri per il suo sistema “sistema duale”, in cui la contrattazione di settore si aggiunge alla determinazione statale del salario minimo. L’ultimo Paese europeo ad aver introdotto il salario minimo è stata la Germania (dal 1º gennaio 2015). In Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia non esiste, invece, previsione legislativa per un salario minimo: la determinazione dei minimi retributivi viene affidata alla competenza negoziale di settore.

LA DIRETTIVA BOLKESTEIN

La Direttiva 96/71/CE sulla liberalizzazione dei mercati europei è stata emendata nel 2006, sottraendo al principio dell’Home Country Control diversi aspetti, fra i quali il salario minimo. Il lavoratore straniero ha diritto al salario minimo previsto dalle leggi del Paese nel quale lavora, in modo indipendente dal proprio Paese di origine e da quello dove ha sede legale il datore di lavoro.

   La Direttiva, nota con il nome del relatore Bolkestein, regolamenta le tutele dei lavoratori distaccati per una prestazione di servizi transnazionali. A questi si applica il trattamento retributivo, ricavabile da leggi e contratti collettivi di lavoro, più favorevole (art. 3.7) fra quello dello Stato di origine, dove ha sede legale il datore di lavoro, e lo Stato membro in cui ha luogo la prestazione lavorativa.

   Dello Stato in cui ha luogo la prestazione, tuttavia, si possono applicare solamente i contratti collettivi aventi efficacia erga omnes, sia nell’intero territorio nazionale dello Stato membro ospitante che all’intero settore cui la prestazione è riferibile (in particolare sia pubblico che privato). La contrattazione decentrata territoriale o aziendale viene esclusa perché per un prestatore di servizi transnazionale avrebbe reso troppo onerosa e complessa la determinazione del salario minimo dei lavoratori, ovvero reso legittime clausole sociali locali e anticoncorrenziali che, per operare nel territorio, avrebbero obbligato i soggetti stranieri a concedere condizioni di lavoro più favorevoli di quelle cui sono tenute le imprese nazionali.

LE PRIME ESPERIENZE A INIZIO SECOLO SCORSO

   Introdotte per la prima volta in Nuova Zelanda (1894), Australia (1896) e Regno Unito (1909), le leggi sul salario minimo sono state poi introdotte, in molti altri Paesi del mondo, oltre che d’Europa, tra cui negli Stati Uniti nel 1938.

(di Fausta Speranza)

Per ascoltare l’intervista a Carlo Altomonte vai sul link:

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2020-09/unione-europea-lavoro-salario-minimo-commissione.html

PIÙ STATO, SENZA AUTARCHIA: IL COVID RIABILITA IL WELFARE – ABHIJIT BANERJEE ed ESTHER DUFLO, premi Nobel 2019 per l’Economia, ripropongono la necessità dell’intervento pubblico contro povertà ed emergenze sociali; e del commercio internazionale; e contro il razzismo

   L’intervista (di DANILO TAINO, da LA LETTURA, inserto del CORRIERE DELLA SERA del 6/9/2020) ad ABHIJIT BANERJEE ed ESTHER DUFLO, marito e moglie, che hanno vinto insieme l’anno scorso (con Michael Kremer) il premio NOBEL PER L’ECONOMIA. Studiosi della povertà e degli strumenti per combatterla, ritengono che la crisi causata dalla pandemia convincerà un numero crescente di persone che solo l’intervento pubblico può fronteggiare emergenze del genere. «Non servono invece misure protezioniste. La guerra commerciale tra America e Cina rischia di produrre gravi danni. Bisogna piuttosto combattere a fondo ogni tipo di razzismo».

   Lo scorso ottobre, l’Accademia Reale delle Scienze svedese ha assegnato il premio Nobel per l’Economia ad ABHIJIT BANERJEE e a ESTHER DUFLO (oltre che a MICHAEL KREMER) «per il loro approccio sperimentale per alleviare la povertà globale». Banerjee e Duflo, che insegnano negli Stati Uniti al Massachusetts Institute of Technology e sono marito e moglie, intervengono in streaming al FESTIVALETTERATURA di MANTOVA VENERDÌ 11 SETTEMBRE, in occasione della pubblicazione in Italia del loro saggio UNA BUONA ECONOMIA PER TEMPI DIFFICILI, edito da LATERZA, euro 19,00). In questa intervista congiunta ragionano sulle maggiori questioni sollevate dalla pandemia di Covid-19.

ESTHER DUFLO (francese) e ABHIJIT BANERJEE (indiano), coniugi, premi Nobel per l’Economia 2019 (foto da LA LETTURA del Corriere della Sera del 6/9/2020)

L’impressione è che la pandemia stia rafforzando le tendenze che sottolineate nel vostro libro. Quanto saranno rilevanti gli effetti di Covid-19 e dei lockdown sulla povertà?

ESTHER DUFLO – Ovviamente resta da vedere. Ma è importante ricordare che non dipenderà solo da quanto bene l’epidemia viene gestita, ma anche da quanto i governi sono disposti ad agire e in grado di farlo per proteggere i cittadini dalla sua ricaduta economica. Le malattie colpiscono i poveri più del resto della popolazione, almeno nei Paesi che noi conosciamo bene, e così è successo per il lockdown, dal momento che le persone con redditi bassi, tipicamente, non hanno sicurezza dell’impiego ed è improbabile che siano in grado di lavorare da casa, a differenza di chi per esempio opera nell’economia della conoscenza. Se anche i governi non sono in grado di supportarli, le conseguenze economiche potrebbero essere disastrose.

Il buon funzionamento dello Stato e delle istituzioni, la buona governance e la buona leadership sembrano fattori chiave nell’affrontare la pandemia, dalla Germania alla Nuova Zelanda alla Corea del Sud. Pensate che ciò sia destinato a dare forma al futuro della politica e persino della geopolitica? Possiamo immaginare migrazioni da Paesi gestiti male dopo il virus, come nel caso della Finlandia dopo la Seconda guerra mondiale, che voi ricordate nel libro?

ABHIJIT BANERJEE – Chiaramente, per i governi questo potrebbe essere un momento cruciale. Prima della pandemia c’erano, come abbiamo spiegato nel libro, un disprezzo e una diffidenza crescenti verso i governi. La pandemia ha evidenziato la necessità di avere apparati statali efficaci: solo un governo può imporre l’obbligo di indossare la mascherina o decidere un lockdown. Solo uno Stato può prendere a prestito o stampare denaro per sostenere i suoi cittadini che affrontano le conseguenze della crisi. Solo uno Stato può impegnarsi a fornire l’accesso universale ai vaccini, quando diventano disponibili. Quindi, se i governi hanno una performance positiva nella crisi, ciò li aiuterà a costruire credibilità e fiducia. Se falliscono, potrebbe esserci un crollo completo, non solo delle forze al potere, ma dell’intero assetto delle istituzioni democratiche. Riteniamo che questo sia un grande pericolo per gli Stati Uniti. Chissà se ciò darà il via a una migrazione verso altri Paesi… ma certamente chiunque negli Stati Uniti ha i titoli per accedere a un passaporto europeo al momento sta cercando di procurarselo.

Pensate che la pandemia possa essere l’occasione per dare alla «dignità umana» un ruolo centrale anche nell’economia? Per esempio, riconoscendo il ruolo dei lavoratori che hanno mantenuto in funzione le società durante i lockdown?

ESTHER DUFLO – Sì, potenzialmente ci sono alcuni risvolti positivi in uno choc di questa portata. Uno è che potrebbe cambiare la nozione di che cosa significa la necessità dell’assistenza pubblica. Tante persone che considerano sé stesse cittadini virtuosi all’improvviso hanno bisogno di aiuto: è possibile che ora capiscano che il sostegno non è solo per le persone pigre; e che un sussidio non ti rende pigro. Ciò può indurre un cambiamento necessario nel nostro sistema di protezione sociale. Un aspetto importante del modo in cui la maggior parte dei Paesi europei ha protetto i lavoratori rimasti senza impiego – cioè preservando il loro posto e pagando i loro salari – è che ciò è avvenuto senza soluzione di continuità: le persone non hanno dovuto umiliarsi per accedere a quel beneficio. È stato automatico, la compensazione naturale per lo sforzo collettivo di combattere il virus. Lo stesso spirito potrebbe – e noi lo speriamo – essere esteso alla protezione sociale in generale.

Come illustrate nel vostro libro, è complicato capire gli effetti del commercio internazionale sui salari, sulla disoccupazione, sulle disuguaglianze. Ma ora, nel mondo, viviamo in un clima molto più protezionista di prima. Qual è la vostra lettura della situazione attuale? Continua a leggere “PIÙ STATO, SENZA AUTARCHIA: IL COVID RIABILITA IL WELFARE – ABHIJIT BANERJEE ed ESTHER DUFLO, premi Nobel 2019 per l’Economia, ripropongono la necessità dell’intervento pubblico contro povertà ed emergenze sociali; e del commercio internazionale; e contro il razzismo”

LUCIANO CECCHINEL, poeta dialettale, nostro amico e sodale, immerso nel territorio e voce europeista, ha vinto il PREMIO VIAREGGIO 2020 PER LA POESIA con “DA SPONDA A SPONDA”, poesie nate dai suoi pellegrinaggi in AMERICA (terra dove è nata sua madre): epopea di affetti famigliari, ascoltando quella terra

Luciano Cecchinel (nella foto), ha vinto il Premio Viareggio Poesia 2020 con la raccolta “DA SPONDA A SPONDA” (Arcipelago Itaca), poesie nate dopo i viaggi in America dai parenti di sua madre, che lì era nata: l’epopea dei nonni materni e della madre Annie, costretti a rientrare in Veneto dopo la crisi del 1929; per poi il poeta concentrarsi sull’epica del «vagabondare»

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LUCIANO CECCHINEL HA VINTO IL PREMIO VIAREGGIO PER LA POESIA

di Roberto Grigoletto, 1/9/2020, da https://www.oggitreviso.it/

– Assegnato al poeta trevigiano uno dei massimi riconoscimenti letterari –

REVINE LAGO È rientrato da poche ore da Viareggio, dove è andato a ritirare uno dei più prestigiosi premi letterari. Luciano Cecchinel, tra le più rinomate voci poetiche dialettali, a detta dei più l’erede di Zanzotto (altro vincitore del “Viareggio”), ci risponde al telefono della sua casa di Revine Lago: “Alzi la voce, però; ho qualche problema di udito”. Ma più che “sentire” Cecchinel nella sua vita ha sempre saputo “ascoltare” e tradurre tutto magistralmente in versi.

L’autorevole premio Viareggio-Rèpaci: un meritato riconoscimento.
Un risarcimento della vita. Da vent’anni non concorrevo più a premi letterari. E nemmeno in questa occasione avevo inviato opere alla Giuria. La quale avrà probabilmente voluto premiare il mio percorso di poeta. Suppongo.
Suppone?
Io non ricordo mica bene ciò che è stato letto nella motivazione quando sono stato insignito del Premio, l’altro ieri. Solo qualche frammento: hanno evidenziato la suggestione con la quale nelle mie opere ho riportato la cultura indigena e quella trapiantata; l’emigrazione; il sogno americano.

E lei cosa, a sua volta, che cosa ha risposto?
Ho replicato con le parole di Andrea Zanzotto: grazie alla produzione dialettale posso essere definito un elfo martirizzato. Nel mio caso un vagabondo, per la verità… Sì ma alla Giuria l’ho detto chiaro: non ho più lo spirito per farlo, il vagabondo.
Di viaggi “Da sponda a sponda”, (la raccolta con la quale si è aggiudicato il “Viareggio”) ne ha fatti di lunghi e intensi.

Sono stati “pellegrinaggi”; sono andato dai parenti di mia madre. Sono tutti lì, in America. E l’America l’ho passata con i miei occhi: nel 1984, nel 1995 e nel 2016. Il penultimo con mia figlia, che poi si è ammalata ed è morta. È lei che, nel pensiero, mi è venuta incontro quando mi hanno assegnato il Premio Viareggio.
Si è ricordato del viaggio con sua figlia?
No, non l’America ma una vacanza di tanti anni fa, quando aveva sette anni. Proprio in Versilia…
E in America Luciano Cecchinel ritornerà?
Ho una specie di crisi di rigetto per questa America. Sta andando “in aceto”.
C’entra anche Trump?
È la causa. È un candidato pericolosissimo. L’ho anche scritto.

(Roberto Grigoletto)

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DA SPONDA A SPONDA ospita perlopiù poesie di viaggio di carattere italo-americano: l’esperienza dell’America mostra lo sguardo sulle realtà d’oltreoceano. Vi è poi un’esperienza dell’America fatta anche nella Vallata di Revine-Lago, dove tra nostalgie, suoni e aneddoti il poeta continua a sperimentare la sua doppia identità, tra Veneto e Stati Uniti.

(una poesia dal libro “Da sponda a sponda”):

grandland of liberty

un’aquila di vertigine su di te
grande terra di libertà che ghermisci
il cielo con miasmi acri e ungulate cuspidi
e semini silenzio e stupore
dai monti patriarchi
dalle praterie dai canyons dai deserti
i lombrichi dell’infimità sotto di te
che abbranchi e dilanii terre
irrefrenabile e noncurante
che getti avanzi ai diseredati
e poi l’uomo incappucciato
signore obliquo dei fuochi della notte
così gli indigeni scompigliati
come foglie ubriache d’acero
per un uragano interminabile
così le bestie scure disseminate
lungo i campi dietro casa
così i vinti alla deriva
tu lo ami il rosso quando fiero
trascina a brandelli
un carnevale di segni sanguinosi
ti commuove il nero
quando in ossessione
sfrena in canto il pianto
fuggiasca e conquistatrice la tua gente
sempre ovunque millepiedi di praterie
formicolio febbricitante per strade
banchine e cieli come per un’immane
prigione protesa
su oceaniche su celesti frontiere
. . . . . .
ma a baciare il tuo suolo affranto l’esule
il contadino entro il recinto
il giusto nei boschi sopra balze oscure
mite il vagabondo all’acqua chiara
un fuoco che arde splende
un profumo lento nella sera

Luciano Cecchinel

(dal libro “DA SPONDA A SPONDA”, Arcipelago Itaca Edizioni – 2019, 12 euro)

(poesia tratta dal sito https://lapresenzadierato.com/)

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Luciano Cecchinel è nato a Revine Lago (TV) nel 1947. Si è laureato in Lettere moderne presso l’Università di Padova e ha INSEGNATO MATERIE LETTERARIE nella scuola media. Dopo un’esperienza in campo amministrativo locale (è stato SINDACO di Revine negli anni ’70), ha partecipato all’attività di gruppi operanti nell’organizzazione del territorio impegnandosi, in particolare, nella costituzione di COOPERATIVE NEL SETTORE AGRICOLO. Interessatosi alla CULTURA POPOLARE e, in particolare, a quella CONTADINA, ha scritto per varie riviste articoli e studi sulle culture subalterne. È stato redattore della rivista politico-culturale «CONFRONTO». La sua attività poetica è rimasta volutamente sconosciuta fino alla pubblicazione della raccolta di poesie in dialetto veneto Al tràgol jért (1988), cui è seguito Senc (1990). I suoi testi hanno ottenuto, fin dal loro primo apparire, importanti riconoscimenti e sono stati ospitati sulle riviste «Diverse lingue», «Pagine», «In forma di parole», «Annuario di Poesia», «clanDestino», «Atelier», «Yale Italian Poetry», «Poesia», «Cartaditalia», «Atlanta Review».

Una riedizione riveduta e ampliata di Al tràgol jért è uscita nel 1999 presso l’editore Scheiwiller con postfazione di Andrea Zanzotto. Prevalentemente in lingua le raccolte Lungo la traccia (Torino, Einaudi, 2005) e Perché ancora / Pourquoi encore (Istituto per la Storia della Resistenza di Vittorio Veneto, 2005) con traduzione di Martin Rueff e note dello stesso Rueff e di Claude Mouchard. Totalmente in lingua la più recente raccolta Le voci di Bardiaga (Rovigo, Il Ponte del Sale, 2008). Tre anni dopo esce una nuova raccolta in dialetto alto-trevigiano, Sanjut de stran (Venezia, Marsilio, 2011) con un’ampia prefazione di Cesare Segre, cui seguono, prevalentemente in lingua, In silenzioso affiorare (Cornuda, Tipoteca Italiana, 2015) con prefazione di Silvio Ramat e con 6 acquerelli di Danila Casagrande e, totalmente in lingua (tranne un testo giovanile in francese), Da un tempo di profumi e gelo (Faloppio, LietoColle, 2016) con postfazione di Rolando Damiani. Del 2018, presso Marcos y Marcos, la sua prima prova narrativa dal titolo La parabola degli eterni paesani. (https://lucianocecchinel.wordpress.com/bio/)

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(una poesia dal libro “Da sponda a sponda”):

con loro

per orizzonti di pianure
e accavallate strisce
di colline e montagne
sempre più fievoli le voci
che anime stremate
hanno lasciato
entro foschie lontane
come di sotto un velo
di tenerezza e rabbia
suoni distorti giù dal cielo
quasi di bestie che hanno cercato
qualcosa che c’era per perdersi
come acqua entro la sabbia
calore di fiamma nel gelo
e con loro sudare
in campi senza ombra
in opifici senza luci
con occhi di musi che sognano
ansimare per strade
sperdute di campagna
su treni-merci entro buio di prigioni
coi tanti loro volti a farsi
d’acero spuma
fumo e frastuono
fino al lampo del vero
luce bianca di gennaio
è così che se ne rivanno
un’altra volta via lontano

Luciano Cecchinel

(dal libro “DA SPONDA A SPONDA”, Arcipelago Itaca)