La necessità di nuovi significati del LAVORO: DOVE L’UOMO SIA ALL’INTERNO DEL SISTEMA COMPLESSIVO DELLA NATURA, non “dominatore”, ma attore che rispetta le risorse naturali (di GIORGIO SARTORI)

   Vi propongo (nei quattro link qui di seguito) quattro brevi documenti che, a mio avviso, possono essere utili per un approfondimento del tema lavoro in un’ottica che non sia solo antropocentrica, ma “cosmocentrica”.

TAMINO Come uscire dalla crisi. Ateneo imperfetti

DALLA CASA LAVORO per Tutti da ecofilosofia

Tamino -il punto di vista della biologia

Tamino Logica_ della_ natura_ e_ decrescita

   Come potete leggere, nei brevi testi di Tamino e Dalla Casa (ma potremmo riprendere e riportare interventi e studi di Langer, Latouche, Tim Jackson…), è messo in discussione l’attuale sistema socio-economico basato, soprattutto, sull’aumento del PIL (Più consumi= Più richiesta di prodotti= Maggiore Produzione= Maggior Occupazione).
Come ben scrive Aldo Bianchin (nel post qui più sotto riportato, “LA FORMA DEL NOSTRO PRESENTE”, del 25 ottobre scorso, n.d.r.), nessuna soluzione può dirsi risolutiva sul problema “lavoro”.
Il senso dei materiali che propongo è quello di chiedersi: si possono individuare nuovi significati del lavoro, collocando l’uomo all’interno del sistema complessivo della Natura in una posizione non di “dominatore”, ma di un attore che rispetta e utilizza le risorse naturali in modo responsabile e consapevole? …
…Comprendere (specie in questi giorni del disastro ambientale nel bellunese, in Veneto e in Italia) che fiumi, foreste, paesaggi sono beni comuni e non merci?
Provocatoriamente occorre rendersi conto che forse i nuovi lavori dovranno basarsi su nuovi parametri.
In particolare:
a) È opportuno ragionare su un “dopo sviluppo”: quali sono i costi sociali e ambientali della crescita? Quali possono essere i nuovi orientamenti per responsabilizzare i consumatori e ripensare l’economia (e quindi i nuovi lavori)?
b) Analizzare (il più possibile in modo oggettivo e scientifico) le contraddizioni del sistema capitalistico: sviluppo o sfruttamento dell’uomo e della natura? Quali sono le nuove proposte dell’odierna ricerca per superare tali contraddizioni?
(GIORGIO SARTORI)
Fonti di riferimento da cui ho ricavato i testi:
1- http://www.filosofiatv.org
2- Quaderni dell’Associazione Eco-filosofica- Periodico bimestrale- Autorizzazione Tribunale Tv- Direttore Responsabile: Paolo Cacciari
3- Testi consultati/consigliati:
TIM JACKSON, Prosperità senza crescita, Economia per il Pianeta reale, Milano ,ediz. Ambiente, 2011
MARIANNA MAZZUCATO, Lo Stato innovatore, Bari, editori Laterza, 2014
JASON HICKEL, The Divide –Guida per risolvere la disuguaglianza globale-,Milano, ediz. Il Saggiatore, 2018
MENSILE MILLENIUM , “il Fatto quotidiano – Licenziati da un Robot” n° 7 Novembre 2017

IL LAVORO STA CAMBIANDO: MA LA SCUOLA DOV’È? (di MARIO FADDA)

   Certamente il lavoro deve essere al centro della nostra riflessione e mi ripropongo di sostenerlo contribuendo, qui, con qualche idea su un tema che a me pare determinante e che riguarda la preparazione al lavoro: questo mette sotto la lente di osservazione la scuola, alla radice della sua concezione pedagogica e di conseguenza nella struttura organizzativa.
Mentre il mercato del lavoro cambia con una rapidità che misuriamo su frazioni del ciclo generazionale (esso è evoluto, nell’arco degli ultimi venti/venticinque anni, in maniera radicale e il processo è tutt’altro che fermo), la scuola – non solo quella italiana, perché il problema è ben più ampio – è rimasta ancorata a principi e metodologie didattiche concepite agli albori della rivoluzione industriale, alle radici della filosofia classica moderna.
Non sto a farla lunga, ma richiamo solo la coincidenza tra l’avvio della rivoluzione industriale e la elaborazione dei principi dell’educazione generalizzata (il termine “popolare” usato diffusamente mi pare un po’ equivoco) che hanno prodotto, sostenuto e utilizzato quanto con la scuola si è realizzato soprattutto nella società europea, negli ultimi tre secoli.
Dico un po’ sbrigativamente – ma spero proprio di poter condividere prossimi momenti di approfondimento e discussione sull’argomento – che quella scuola è stata un fattore determinante nei processi di emancipazione di massa, ma proprio “quella” scuola mi pare ormai mummificata: nei principi pedagogici, nei metodi didattici, nelle applicazioni che ne conseguono per le scelte nel mercato del lavoro. Soprattutto nella – o meglio: derivandone la – assoluta insufficienza della visione culturale che deve presiedere alla formulazione dei principi e delle metodologie didattiche e alla conseguente preparazione delle persone dedicate al settore.
Ma sto correndo troppo e per giungere alla scuola necessitano, a me pare, alcuni passaggi non semplici: ci provo, formulando qualche elemento di prospettiva, agganciandomi, con qualche riflessione, al tema del lavoro.
Mi pare che un enorme cambiamento circa il senso del lavoro, il suo significato, il ruolo nella società contemporanea derivi da un millenario processo che, tuttavia, può essere rapidamente ripercorso in alcune tappe fondamentali.
Il “lavoro” si configura nel momento in cui l’umanità evolve da essere semplicemente una consumatrice di beni naturali, in produttrice di quei beni.
L’uomo primitivo sopravvive cacciando e cogliendo quanto la natura gli offre; quando capisce che coltivando il campo e allevando l’animale, la sua vita migliora, inventa il lavoro.
Tale resta diffondendosi con modalità più o meno omogenee in tutto il bacino greco-latino, che vuol dire dall’Europa a un bel pezzo di Asia e Africa. Probabilmente in Oriente, di cui è meno nota la storia arcaica, è accaduto lo stesso.
Per secoli, il lavoro costituirà la modalità mediante la quale l’umanità può garantirsi una adeguata qualità di vita, ma progressivamente messa in discussone per la crescente disparità di potere di decisone tra chi lavorando produce e chi di quel prodotto intende avvalersi, acquisendolo: per il legionario romano che conquista un continente si tratta di stabilizzare il meccanismo padrone/schiavo, diffondendolo dal ceto aristocratico al grande ambito delle migliaia di veterani e (dopo il trambusto provocato dal rimescolamento europeo storicamente definito “periodo delle invasioni barbariche”, in realtà integrazione della cultura greco-latina, con le aree post- celtiche e germaniche) cominciando un percorso che condurrà alla divisione della società in classi, di cui la più numerosa è “la classe operaia”, cioè da una parte chi lavora ed è disposto a vendere il proprio lavoro e dall’altra la meno numerosa, ma in grado di utilizzare la prima, cioè chi monopolizza i mezzi per comprare quel lavoro, comprandone il prodotto.
E’ un sistema che dura da un migliaio di anni, consolidato attraverso una progressiva valorizzazione del lavoro come merce da introdurre nel mercato.
Il gioco comincia a incepparsi quando la strategia per garantire/aumentare la rendita per chi investe porta alla divisione dell’uso del denaro, tra quanto è utilizzano per produrre altro denaro (economia della finanza) e quanto ne resta per comprare lavoro (economia della produzione di beni e servizi).
E’ un gioco che dura ormai da quasi un secolo, quando il confliggere si trasferisce dal cuore dell’Europa allo scontro di blocchi mondiali.
Ho ricapitolato come premessa (rozzamente, ma non riesco meglio) alle questioni ben note a tutti, che cerco di completare con il dato in tabella e le cartine che seguono, perché servono per capire quanto tempo abbiamo a disposizione e dove si svilupperanno le prossime strategie.

Regione  1750  1800  1850  1900  1950  1999  2050  2150

Mondo       791     978  1262   1650   2521  5978   8909   9746

Africa         106      107    111     133     221   767    1766   2308

America Latina

e Caraibi     16        24       38       74     167   511      809     912

Asia          502       635     809     947  1402  3634    5268   5561

Europa     163       203     276     408     547   729       628    517

Nord America 2        7       26       82     172   307       392    398

Oceania          2         2        2         6       13     30         46        5

(mi scuso per la qualità delle cartine, ma per ora non ho trovato di meglio)
In quella in alto, la fascia grigiazzurra settentrionale (buona parte della Siberia, Canada e Alaska) e quelle violette (Grande nord e Siberia) che appaiono nella seconda cartina, attribuite ad attività di nomadismo, in realtà verrebbero investite da processi evolutivi derivanti dal riscaldamento globale ormai in atto, trasformandosi in riserva agricola.
Si tratta di una superficie di alcuni milioni di ettari, in grado di moltiplicare e monopolizzare il prodotto agricolo, cioè il mercato alimentare.

Ne derivano alcune possibilità, che diventano interrogativi:
A quali paesi conviene che ciò accada? (quindi certi intrallazzi Trump/Putin giustificati come eccesso di intraprendenza di qualche collaboratore, sono poi così incomprensibili?)
Se questo delinea nuove, prossime strategie globali (leggasi: alleanze, con trasferimento dell’Europa occidentale in seconda fila)
Il confronto con la tabella demografica aggiunge chiarezza.
Al tempo di Napoleone, il processo ormai maturo della trasformazione del lavoro in merce vede l’Europa che domina il mondo, in cui alloggia oltre il 20% della popolazione globale; dell’Asia –contenitore di un altro 65% – si capiscono a posteriori certi andamenti e progressivi assoggettamenti, dato il ritardo tecnologico e la decadenza sociopolitica di quel momento storico. Il resto del mondo è l’Africa, che fornisce manodopera a costo zero e poi c’è il vuoto.
Oggi i rapporti sono ben diversi e (degrado ambientale permettendo, cioè se al 2150 ci arriveremo o se avremo prima la catastrofe ambientale) l’Europa costituirà un 5/6% della popolazione mondiale: l’Asia continuerà per la sua strada (50%) e l’Africa deflagrerà, essendo lei allora il 25% delle braccia e delle bocche.
Senza andare oltre nel prevedere i fatti, intanto ne derivano diverse questioni delle quali occuparsi subito.
Insomma, per molti versi la mondializzazione è un fatto: voglio dire che “pensare mondiale per agire locale” poteva sembrare uno slogan (…), ma dopo appena un quarto di secolo il gioco è fatto, ma con ben altre modalità, purtroppo (…..).
Ho colto nel documento di ANDREA (vedi qui il post precedente a questo, ndr) diversi spunti che vanno nella direzione che trovo improcrastinabile assumere per avviare un futuro decente.
Credo che innanzi tutto si debbano distinguere tre linee di fondo:
1 – IL LAVORO STA CAMBIANDO, robotizzazione progressiva, quindi mercato del lavoro……
2 – il lavoro è l’espressione della CREATIVITÀ DELLA PERSONA E NON MERCE
3 – COME CI SI PREPARA AL LAVORO: ECCO LA SCUOLA

IL LAVORO STA CAMBIANDO
Certamente avremo ancora un paio di generazioni di operai e contadini, ma siamo già in grado di prevedere come e quando le braccia diventeranno inutili, per la totale automazione dei due settori.
Il sistema economico si è messo al vento: la spaccatura dell’economia consente di manovrare perché il potere finanziario (rigorosamente concentrato super partes) ha cominciato da tempo a prepararsi una base sicura, separando sempre di più una categoria a suo sostegno, allettata da retribuzioni ormai stratosferiche, da masse di operatori sempre più orientati verso un mantenimento fondato non sul lavoro, ma sul riconoscimento di una “cittadinanza” come fattore di aggiudicazione di un mantenimento minimo garantito: panem et circenses, come nei quattro secoli in cui Roma si spacca con un’aristocrazia che gode del controllo totale della ricchezza e una plebe ormai pressoché inutile.
Il potere non è mai stato né preveggente, né previdente, poiché il suo interesse è garantirsi la sopravvivenza; in questa fase storica, con la sua capacità di progetto non va oltre i tempi della tabella citata, cioè un secolo o poco più: sta a noi pensare il cambiamento. Se Kant non avesse capito la portata del cambiamento cui assisteva, con una umanità ormai mondializzata (le scoperte geografiche erano fatte!) come avrebbe potuto (perché avrebbe dovuto) concepire la necessità di riproporsi la questione del senso dell’essere? e ci vuol poco a pensare che fu questa consapevolezza che lo condusse a pensare che questa attenzione lo induceva a ripensare il rapporto tra coscienza e conoscenza in ciascun individuo, quindi al grande tema del sostegno alla formazione della persona.
O continuiamo a pensare che la scuola per tutti sia nata “socialdemocraticamente” per una benevola distribuzione al popolo di qualche panem in più? O perché il re di Prussia voleva avere cittadini intelligenti come i francesi, educati come gli inglesi? (o magari fu proprio questa coincidenza di obiettivi a fornire a Kant le risorse necessarie)
IL LAVORO È L’ESPRESSIONE DELLA CREATIVITÀ DELLA PERSONA
Per non continuare ad approfittarmi della pazienza di chi legge, la risolvo con un racconto (e magari poi continuare a discuterne…).
Lo devo a Luciano Gallino. Adriano Olivetti lo conobbe fermandosi a fare benzina e vide che il ragazzo che gli riempiva il serbatoio aveva in tasca un libretto di non ricordo più quale autore greco.
Ve la faccio breve: Gallino ebbe i mezzi per studiare e compensò il mecenate diventando “Gallino” e Olivetti – non pago – istituì un sistema di borse di studio – ahimè durato poco dopo di lui – dove il candidato non veniva orientato verso un dato settore, ma sostenuto per studiare quanto riteneva più importante e utile per sé e per la cultura e la scienza in generale.
Di lì la “Olivetti” ebbe le risorse per quello che riuscì a realizzare (il primo processore veloce… il primo personal compiuter…. fino a quando non se ne impadronirono altri…. ma qui interrompo il racconto).

Il lavoro sarà libera espressione della creatività della persona e non merce da vendere, se avremo la forza di fare quello che fece Kant (e non solo lui, non da solo, grazie al cielo c’era chi era in grado di capirlo!)
Non si tratta (solo) di riformare la scuola, di riqualificare (solo) il personale insegnante, di modernizzare (ancora solo!) la didattica, di far circolare gli studenti (la generazione erasmus! e magari fossero più numerosi!).
Si tratta di ripensare come sostenere la persona nel suo itinerario, dal prendere coscienza di sé, fino alla capacità di esplicitare tale consapevolezza acquisendo le conoscenze necessarie per essere capace di esprimere sè stesso (ecco il lavoro, espressione della creatività della persona) conoscendo il mondo in cui si colloca e consentendo a tutti di conoscerlo e acquisirlo come risorsa, capace di formulare un progetto della propria vita, della sua funzione nel mondo e dell’itinerario per realizzare (realizzarsi in) tutto ciò. (MARIO FADDA)

 

I ROBOT AL LAVORO, O IL LAVORO AI ROBOT? di ANDREA MATTAROLO (in merito al post di Aldo Bianchin, qui sotto rappresentato)

Glossario:
Robot Digitali (RD) = L’insieme dei dispositivi hardware e software


Ho letto con molto interesse l’intervento di ALDO BIANCHIN e i 2 articoli allegati. (vedi qui sotto, ne proseguo del blog. Ndr)
Anch’io sto leggendo, studiando e riflettendo, ormai da tempo, su questi temi e soprattutto su alcuni aspetti che corrono oggi a gran velocità in parallelo a questi argomenti.
In particolare il tema del ROBOT e dell’INTELLIGENZA ARTIFICIALE, anche dal punto di vista della sua presenza nella storia, e non solo quella recentissima.
Forse qualcuno ha letto il mio racconto “L’AUTOMA”.l_automa_andrea_mattarollo (3) Il racconto si svolge in un tempo indeterminato, ma a chi conosce anche superficialmente un po’ la storia degli automi non sarà sfuggito il riferimento all’automa giocatore di scacchi, “IL TURCO” costruito nel 1769 da WOLFANG VON KEMPELEN per Maria Teresa D’Austria. La storia di questa straordinaria invenzione che tra 2 mesi festeggerà 250 anni ci riguarda molto ma molto da vicino.

Nel 2005 AMAZON ha creato un sistema di intermediazione digitale tra le aziende e i lavoratori di tutto il mondo, per svolgere dei compiti che i computer non riescono a fare, o non fanno ancora con la perfezione che viene richiesta.
Ad esempio riconoscere e leggere degli scontrini, riconoscere e interpretare da un filmato o da una foto dei gesti umani, dei suoni, comprendere il significato di una registrazione audio, leggere dei cartelli o delle targhe, descrivere un prodotto di un negozio online, identificare un musicista da un cd, ecc.
Cinquecentomila (500.000) persone nel mondo (soprattutto in USA e India) sono impegnate a fare queste cose per poche decine di centesimi di dollaro all’ora per aziende di tutto il mondo (Amazon guadagna fino al 40%).

AMAZON MECHANICAL TURK, questo è il nome del servizio, è un riferimento esplicito all’automa di von Kempelen. A buona ragione: esattamente come “il turco” originale nascondeva al suo interno un umano che giocava a scacchi, “i turchi” qui sono le persone che svolgono un lavoro che (al momento) il robot digitale non è ancora in grado di fare. Ma che grazie al loro lavoro sta imparando a fare sempre meglio.

Infatti l’obiettivo finale è proprio questo: con il loro lavoro queste persone insegnano agli algoritmi ad acquisire le competenze per riuscire a svolgere questi compiti autonomamente. Dal loro lavoro Amazon quindi ha un doppio guadagno.

Nel racconto L’AUTOMA il protagonista è un ragazzo che ha maturato un sogno: un mondo futuro in cui il lavoro, e in particolare il lavoro che richiede grande fatica e stronca le persone come alberi che cedono alle intemperie, sarà svolto dagli automi.

Ma lo scenario in cui la macchina sostituisce l’uomo nei compiti di fatica ne apre anche un secondo, che il ragazzo mostra di aver compreso: l’automa è condizionato unicamente dal compito che deve svolgere, e non dai rapporti sociali e di forza che invece modellano la società (i rapporti sociali, i rapporti di classe, ecc.), insomma per la macchina e per l’automa tutti gli uomini (e tutte le donne) sono eguali (e questo, nell’economia del racconto, porta il protagonista a fare una scelta inedita per l’epoca in cui è ambientato).

Nel mondo attuale i Robot Digitali stanno imparando dalle persone che li utilizzano (Amazon Mechanical Turk è solo un esempio tra infiniti, anche Google impara dalle nostre scelte, ad esempio) e utilizzandoli producono un output: i BIG DATA, ovvero tutte le informazioni che possono essere raccolte e processate sulle persone e sui loro comportamenti.

Nella nostra vita quotidiana la nostra esperienza si svolge tutta da un lato: noi siamo PRODUTTORI (quando utilizziamo un robot digitale) di BIG DATA e contemporaneamente FRUITORI dei servizi che ci vengono forniti grazie ai big data: usiamo lo smartphone, i social, le app, il pc, siamo registrati quando andiamo per strada, entriamo in un negozio, compiliamo un modulo, acquistiamo un libro, iscriviamo a scuola i bambini, assumiamo un farmaco, eseguiamo un bonifico, prendiamo il treno, scegliamo un programma tv, ecc.

Per la prima volta nella storia (ma è davvero così?) compiendo queste azioni quotidiane, scontate e automatiche, ci affidiamo a qualcuno con cui non possiamo avere alcuna relazione, con cui è impossibile negoziare: l’unica possibilità è accettare “i termini del contratto”, spuntando la casella “Accetto”. Nel gergo del marketing, il NEGOZIO, inteso non come struttura di vendita, ma come pratica di mediazione tra chi vende e chi compra (o tra due posizioni diverse: negoziare appunto) è stato sostituito dal FUNNEL, l’imbuto: il processo necessario per portare una persona a compiere un’azione (un acquisto, un voto, una adesione, ecc.). A questo (anche) servono i big data: a migliorare sempre più questo processo, cercando di capire che cosa funziona meglio per convincere qualcuno a fare qualcosa.

Il segreto delle FAKE NEWS è tutto qui: sono semplicemente degli strumenti che si sono rivelati efficaci per convincere qualcuno a fare qualcosa (ad esempio votare un candidato invece di un altro). E qui l’aspetto morale non c’entra nulla, è una scelta tecnica: se vogliamo ottenere dei risultati, dobbiamo fare così. E’ FONDAMENTALE comprendere questo punto: la realtà (cosa è vero e cosa è falso) qui non c’entra niente, in questo contesto comunicativo l’unica cosa che conta è FAR-SI-CHE QUALCUNO-FACCIA-QUALCOSA ed essere in grado di gestire i mezzi per riuscire a farglielo fare.

E noi, noi come persone e cittadini, dove andiamo a finire in un contesto dove la definizione di quello che è vero o falso si misura sulla sua efficacia a ottenere un risultato atteso? Dove anche il nostro comunicare diventa uno strumento per convincere qualcuno a fare qualcosa? (E non, mettiamo, per capirsi, per discutere, per imparare, insegnare e così via?).

QUALE È IL RISULTATO, PER NOI?

   Il risultato, in termini di vissuto e di percezione delle persone, in un contesto del genere è proprio quello descritto da ALDO BIANCHIN: LA SOCIETÀ LIQUIDA DI BAUMANN, priva “punti di riferimento stabili nella percezione comune”, un liquido in cui i vecchi contenitori (ideologie, partiti, confini, ecc.) non funzionano più e sono incapaci (o sono stati resi incapaci) di dargli una forma stabile.

   “Una atomizzazione della società diffusa e generalizzata che pone l’accento sullo sviluppo dell’individuo, sui suoi diritti. C’è una rivendicazione dei diritti del singolo soggetto che si allarga a forme e gruppi specifici (esodati, disoccupati, precari, donne, handicappati, rifugiati, poveri, etc. etc etc) chi più ne ha, ne metta.
Non si vuole escludere nessun segmento. Non si vuol negare nessuna richiesta di “ diritti” per ognuno.”
Ma a chi si rivolge la richiesta?

   Si chiede, e chiede a noi ALDO BIANCHIN, cosa potrebbe succedere da ora in poi, proponendo 4 scenari possibili :
1) I robot svolgeranno tutti i compiti svolti dall’uomo. Ci sarà un reddito incondizionato di cittadinanza per tutti.
SCENARIO: I ROBOT LAVORERANNO PER L’UOMO
2) I robot svolgeranno gran parte del lavoro, tranne compiti in settori relazionali riservati all’uomo.
SCENARIO: AI ROBOT LAVORI RIPETITIVI E PESANTI, ALL’UOMO LAVORI DI QUALITA’
3) I robot sostituiranno le persone in buona parte delle occupazioni, necessari sussidi per le persone che non troveranno lavoro.
SCENARIO: I ROBOT SVOLGERANNO GRAN PARTE DEI LAVORO, PARTE DELLE PERSONE SVOLGERA’ IL RESTO, I DISOCCUPATI RICEVERANNO UN SUSSIDIO
4) I robot toglieranno lavoro all’uomo nel tempo breve, ma nei tempi lunghi la situazione si riequilibrerà e ci sarà lavoro per tutti.
SCENARIO: ALLA FINE L’UOMO CONTINUERA’ A LAVORARE AFFIANCATO DAI ROBOT, OCCORRE ACCOMPAGNARE IL CAMBIAMENTO CON INTERVENTI MIRATI.

I primi due scenari sono quelli prospettati nel racconto “L’automa” (e in molta narrativa fantascientifica), però da questo elenco manca lo scenario prefigurato da Amazon Mechanical Turk, e dagli altri Tools che stanno diventando elementi imprescindibili della nostra vita.
Stiamo parlando dei robot con cui abbiamo a che fare ogni giorno, eppure è molto difficile prefigurare uno scenario, perché è inficiato sia dalla paura che questa tecnologia evoca a diversi livelli, sia dall’opposta visione stolidamente ottimistica che ridicolizza chi chiede di definire dei limiti a queste tecnologie (magari chiamandolo erede dei luddisti).    E’ difficile guardare negli occhi questo presente, comunque propongo un mio scenario possibile:

5) I robot (digitali) si sostengono su due gambe: (1) la diffusione di strumenti hardware (lo smartphone ad es.) e software (le app ad es.) che forniscono molteplici servizi gratuiti e a pagamento, sempre più indispensabili, (2) il loro uso diffuso fornisce sempre maggiori strumenti per estrarre valore economico dalle persone che li utilizzano, con modalità diversificate, ad es.:
a) Amazon Mechanical Turk, Airb&b, Uber, ecc.: facendole lavorare (e guadagnando sul loro lavoro), ho-lavorato-come-turca-meccanica-per-amazon (1)

b) Google, Facebook, ecc.: facendole cliccare sulla pubblicità (e guadagnando su questo),
c) Modelli algoritmici predittivi utilizzati da aziende, enti pubblici, scuole per valutare ad es. la propensione al lavoro, al rischio, allo studio, alla spesa, ecc. delle persone, con il fine di ottenere un guadagno economico misurabile.
Questi sono solo alcuni esempi parziali reali e praticati.
SCENARIO: I ROBOT DI FATTO GESTIRANNO LA VITA LAVORATIVA E IL TEMPO LIBERO DELLE PERSONE PER ESTRARRE DALLE PERSONE IL MASSIMO VALORE POSSIBILE.
(ANDREA MATTAROLO)

INTELLIGENZA-ARTIFICIALE_inasia-del-30-maggio-2018 (3)