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Comunicato del Movimento Federalista Europeo del 27/3/2024:
L’Europa deve affrontare un profondo cambio di paradigma in questa fase. Anche il Consiglio europeo che si è tenuto il 21-22 marzo scorsi ha evidenziato la preoccupazione per il rischio di trovarci in tempi non troppo lontani sotto attacco della Russia. Analogamente è forte anche il pericolo segnalato da Mario Draghi di diventare completamente marginali sul piano economico e commerciale se non mettiamo in campo investimenti massicci per sostenere le transizioni green e digitale; e a questo si aggiunge la necessità urgente di garantire anche la sostenibilità sociale di queste transizioni.
Affrontare questo passaggio epocale per le nostre società, per le nostre opinioni pubbliche, per la nostra democrazia richiede strumenti europei che l’Unione europea non ha. È un fatto evidente, che la stessa Commissione europea ha evidenziato con chiarezza nella sua comunicazione sulle riforme e la revisione delle politiche necessarie in vista dell’allargamento resa pubblica il 20 marzo, alla vigilia del Consiglio europeo.
In questo quadro è particolarmente grave che il Consiglio europeo continui a rimandare la discussione sulla richiesta avanzata dal Parlamento europeo con il voto del 22 Novembre scorso di avviare una Convenzione per la riforma dei Trattati. Si tratta dell’unica proposta concreta in grado di sbloccare l’impasse in cui è attanagliata l’Unione europea, sia sul piano giuridico – perché le altre procedure semplificate contenute nei Trattati non possono essere utilizzate nei settori in cui è più necessaria una profonda riforma: la politica estera e di sicurezza e la difesa, il finanziamento dell’Unione, la nomina dei membri della Commissione europea, il rafforzamento dello Stato di diritto-; sia perché è l’unica procedura che permette una partecipazione democratica.
La Convenzione, con la presenza del Parlamento europeo e dei rappresentanti delle istituzioni nazionali ed europee, è il solo quadro in cui può emergere la consapevolezza che l’Unione europea ha bisogno non di singole riforme, ma di una riforma globale che faccia emergere una nuova forma di governo a livello europeo, effettivamente dotata degli strumenti (competenze, risorse, poteri) per agire negli ambiti in cui gli Stati membri non hanno più la capacità di agire efficacemente.
Anche il nostro Governo, pur dichiarando la necessità di costruire una difesa comune e di finanziarla con appositi eurobond, non coglie la dimensione della sfida. Lo dimostra il fatto che non ha voluto recepire, né discutere, la proposta avanzata dall’opposizione con una delle risoluzioni presentate in occasione del confronto parlamentare sulle comunicazioni in Aula della Presidente del Consiglio in vista della riunione del Consiglio europeo; questa risoluzione chiedeva, in uno dei punti che non sono stati recepiti dal Governo, proprio di favorire la riforma istituzionale dell’UE con l’avvio di una Convenzione, nel cui quadro la proposta degli eurobond – e di una riforma generale del bilancio, come pure evocato dalla Commissione europea – diventerebbe realistica e forte.
Pavia-Firenze, 27 marzo 2024
- Leggi la dichiarazione MFE approvata dal Comitato federale riunito a Roma il 23 marzo.
- Leggi il Memorandum Perché abbiamo bisogno di una Convenzione per modificare i Trattati.
- Leggi la lettera alla Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni firmata dai Presidenti dell’Unione dei Federalisti Europei (UEF), del MFE, del Gruppo Spinelli, del Movimento Europeo Internazionale, dei Young European Federalists (JEF Europe).
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NEL MONDO CHE BRUCIA L’EUROPA DEVE TORNARE BUSSOLA
di GIANFRANCO PASQUINO, dal quotidiano “Domani” del 27/3/2024
Quello che è particolarmente preoccupante in questa fase della storia del mondo è che vediamo l’accumularsi di problemi molto diversi fra loro, prodotti da condizioni diverse in luoghi diversi per i quali molte parti indicano una pluralità di responsabili. Intravediamo qualche complicato emergere di soluzioni che rimangono conflittuali e non trovano l’approvazione delle parti in causa.
Rincorriamo qualche novità, qualche volta esagerandola, che nel migliore dei casi apre spiragli che non lasciano intravedere una strategia abbozzata almeno nelle sue linee generali. Non si può e non si deve chiedere agli ucraini di alzare bandiera bianca, ma nessuno, tranne forse la Cina, è in grado di chiedere a Putin di porre fine al conflitto. La Cina è seduta lungo il corso di un fiume dove pensa, forse spera, magari progetta di vedere “passare” Taiwan, mentre la sua economia non cresce più, ma aumenta la repressione a Hong Kong.
Appena riconsacrato, Putin che, come tutti gli autocrati, fonda il suo potere anche sulla promessa di ordine e sicurezza (più una rilanciata grandezza) vede la sua capitale ferita da un attacco terroristico con gravissime conseguenze. La sua ricerca di un capro espiatorio nell’Ucraina come mandante non sembra funzionare, ma probabilmente ha finora impedito che gli venga chiesto conto, da un circolo ristretto che mantiene un po’ di potere intorno a lui, dell’avere ignorato la tempestiva segnalazione dell’intelligence Usa di un attacco terroristico.
La reazione israeliana all’aggressione di Hamas del 7 ottobre continua mirando a ripulire dalla presenza di terroristi i cunicoli di Gaza la cui lunghezza è stata stimata fra le 300 e le 500 miglia. Repressione e oppressione senza soluzione hanno conseguenze imprevedibili, ma non risolutive.
L’aumento dell’antisemitismo è tanto inquietante quanto accertato, ma rimane deprecabile. Il presidente Biden, giustamente e comprensibilmente, teme che una parte non trascurabile dell’elettorato islamico Usa, finora orientato a favore dei Democratici, lo possa abbandonare decretandone la sconfitta in due/tre stati chiave in bilico e riportando alla Casa Bianca Donald Trump, certamente non un negoziatore né un pacificatore.
L’astensione Usa sul voto del Consiglio di sicurezza dell’Onu a favore del cessate il fuoco è un messaggio sia a quell’elettorato sia a Israele, ma il suo impatto non va oltre il breve termine se non sarà accompagnato da veri e propri negoziati per i quali nessuno finora ha indicato le modalità iniziali e una prospettiva plausibile.
Israele sembra opporsi alla soluzione dei due stati, comunque difficilissima da tradurre in pratica senza la totale smilitarizzazione di Hamas. Nel variegato mondo dei paesi arabi peraltro non si vede grande entusiasmo per la formazione di uno stato palestinese.
In questo panorama complesso caratterizzato da opzioni diverse 400 e più milioni di cittadini dell’Unione europea andranno a votare per l’istituzione democratica, l’Europarlamento che ne rappresenterà e esprimerà per cinque anni le preferenze, le aspettative, anche gli interessi.
Senza compiacermi di nessuna critica moralista/buonista, ritengo che sia non soltanto logico, ma assolutamente opportuno che le grandi famiglie politiche europee, preso atto dello stato del mondo, dei due gravi conflitti ai suoi confini, della persistenza del terrorismo di matrice islamica, procedano a una diagnosi approfondita e suggeriscano soluzioni alle quali saranno gli europei stessi a contribuire. Sicurezza reciproca, ricostruzione materiale, ma anche di rapporti, visione di un futuro di autonomia ma anche di cooperazione: per tutto questo vale la pena di impegnarsi, sempre. Se non ora, quando?
(GIANFRANCO PASQUINO, dal quotidiano “Domani” del 27/3/2024)