ALLARGAMENTO SÌ o NO della UE? – Balcani Occidentali: il positivo avvio dei negoziati per ALBANIA e MACEDONIA del NORD; ma sarà cosa utile un’Europa sempre più allargata?

BALCANI OCCIDENTALI (mappa da https://formiche.net/) – L’UNIONE EUROPEA e i BALCANI OCCIDENTALI: SLOVENIA e CROAZIA sono Paesi membri; SERBIA, MONTENEGRO, MACEDONIA del NORD e ALBANIA, ci sono negoziati in corso; BOSNIA-ERZEGOVINA e KOSOVO sono Paesi non ancora candidati

…………………………

Il 18 luglio l’UNIONE EUROPEA ha dato il via libera all’APERTURA dei NEGOZIATI di ADESIONE con ALBANIA e MACEDONIA DEL NORD. La decisione, annunciata dalla Repubblica Ceca, che occupa la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione, è stata presa durante la riunione degli ambasciatori dei 27 paesi comunitari, il cosiddetto Coreper. L’Albania aveva ottenuto lo status di candidato ufficiale otto anni fa, e la Macedonia del Nord addirittura nel 2005. Nel caso di Skopje, la svolta è arrivata dopo che il parlamento ha approvato una proposta europea per mettere fine alla disputa storico-identitaria con la BULGARIA, che ha revocato il suo veto all’integrazione della Macedonia del Nord alla fine di giugno. Secondo il politologo romeno OVIDIU NAHOI, che interviene su RADIO FRANCE INTERNATIONAL, questi ultimi sviluppi dipendono anche dall’indebolimento della posizione russa: “Mosca è pesantemente coinvolta nei Balcani occidentali e cerca di sfruttare la frustrazione che nei paesi della regione è stata alimentata dalla mancanza di progressi nel percorso verso l’integrazione europea. Ma l’aggressione russa all’Ucraina ha dato nuovo slancio alle ragioni dell’allargamento. Un fattore che probabilmente il Cremlino non aveva preso in considerazione”. (da https://www.internazionale.it/, 21/7/2022) (nella MAPPA: ALBANIA e MACEDONIA DEL NORD, mappa ripresa sempre da https://www.internazionale.it/)

……………………………

   Il 18 luglio (2022) l’UNIONE EUROPEA ha dato il via libera all’APERTURA dei NEGOZIATI di ADESIONE di ALBANIA e MACEDONIA DEL NORD. Già il 24 marzo (2022) il Consiglio dell’Unione, riunito nella formazione Affari esteri, aveva ufficializzato il nullaosta per l’avvio dei negoziati di adesione per la Repubblica d’Albania e la Repubblica della Macedonia del Nord. Per raggiungere questo primo traguardo è stato necessario soddisfare alcune richieste da parte di quei paesi più restii a permettere l’ingresso dei due stati balcanici (la Grecia e la Bulgaria). Va specificato che l’avvio dei negoziati di adesione non corrisponde automaticamente al successivo ingresso del Paese in questione (ci vogliono anni, e non è detto…), come è accaduto con la Turchia, dove il processo di integrazione è sospeso da più di vent’anni.

   Tutte le decisioni di allargamento dell’UE richiedono l’approvazione unanime degli Stati membri, rendendo il processo di espansione un ostaggio della storia, della lingua e delle rivalità regionali.

   Per questo l’UE ha bisogno di un nuovo approccio all’adesione (non più all’unanimità). Ma è anche vero che l’allargamento dell’Unione Europea a sempre più Stati, se pare una cosa buona, dall’altra crea molti problemi e tende ad annacquare lo spirito di “Stati Uniti d’Europa” dei padri fondatori.

   Il problema è che nel corso dei decenni l’adesione all’Europa (prima la Comunità Europea, poi la Ue) ha mutato i connotati del desiderio a “unirsi”: se prima era (tra i primi stati: Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo) il superamento della disastrosa guerra civile europea (la seconda guerra mondiale, ma anche la prima), lo spirito dei padri fondatori (dal manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, alle dichiarazioni di Jean Monnet, Robert Schuman -il 9 maggio del 1950 fu resa pubblica la Dichiarazione Schuman da cui è partito il processo di integrazione-, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer…) era quello di creare un’Unione sovranazionale non solo economica ma anche politica, nella volontà di arrivare a un federalismo autentico che riunisca sempre di più gli Stati aderenti.

   In effetti poi l’adesione dei paesi dell’est (nel 2004 si è compiuta la più grande fase di allargamento della storia dell’UE, che ha visto l’adesione di Polonia, Ungheria, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Cipro e Malta) è stato l’affrancamento dal blocco russo e il traino economico (con sostanziosi finanziamenti della Ue) a motivare l’adesione di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca etc.).

   Ora l’adesione dei paesi dei Balcani occidentali è data in primis dall’aver loro garantito l’inizio di un autentico processo di democratizzazione interna, nonché dalla necessità di completare il processo di modernizzazione di questi paesi (sostanzialmente poveri e senza solide strutture civilistiche): con difficoltà che essi dimostrano di creare quelli standard giuridici che la Ue chiede per il loro ingresso nella Ue.

   E poi è vero che molti Stati, entrati nell’Ue con i vari allargamenti (come appunti i paesi dell’ex blocco sovietico), essi non condividono la finalità di un’Unione sempre più stretta, sovranazionale. Perché interpretano l’integrazione come un processo esclusivamente economico. E in particolare non vogliono rinunciare minimamente ai poteri loro dati dallo stato nazionale; che invece la UE, nelle intenzioni politiche originarie e consolidate, vorrebbe sempre più superare in un contesto sovranazionale.

   Solo così infatti è accaduto che il mercato continentale della Ue sia il più integrato al mondo. Peraltro, la prospettiva sovranazionale è in primis sostenuta da istituzioni sociali ed economiche (come le Università, le imprese produttive, le società di servizi, i centri di ricerca…) che capiscono che non possono crescere nei confini dei soli stati nazionali. E tutti i paesi della Ue che vogliono limitare questa natura sovranazionale, conservando il proprio potere di “stato nazionale” limitano il processo di creazione di un continente europeo sempre più all’avanguardia (sull’economia, sui diritti umani, sui servizi, sul welfare…..).

   Pertanto ci si trova in una situazione di contraddittorietà e difficoltà: vi è la necessità di allargare l’Unione europea (per poter affrontare alla pari i moloch cinese, americano, russo, indiano…), ma di creare anche una federazione europea omogenea nei diritti (democratici, di solidarietà, ma anche nei procedimenti civili, penali….) e in grado di essere efficiente e di funzionare.

   E la necessità del Consiglio europeo (di fatto i governi dei Paesi membri) di prendere sempre decisioni all’unanimità diventa un blocco che si deve riuscire a superare, arrivando perlomeno a maggioranze qualificate (l’80%?) (ma per far questo, creare un procedimento di maggioranze qualificate superando la unanimità, la decisione finale è ancora con la vecchia regola dell’unanimità….un cane che si morde la coda….e ci sarà sempre sicuramente qualcuno che si opporrà…).

   Se questo non accade (il superamento delle decisioni all’unanimità, e poi anche una omogeneità democratica, di società interne agli Stati pluralistiche e più che mai rispettose delle minoranze e dei diritti fondamentali della persone), (almeno di questi principi fondamentali, del superamento delle differenze politiche ora assai marcate tra i vari Stati dell’Ue), c’è forse la necessità di una riforma che differenzi la UE istituzionalmente: tra Paesi che perseguono l’obiettivo dell’unione sempre più stretta (un nucleo iniziale, forte, fondativo, un po’ come è stato per l’euro), e Paesi invece interessati solo a partecipare al mercato unico o a specifiche politiche di sicurezza (e niente di più). Un’Europa a più velocità. Questa riforma sarebbe assai necessaria prima di ulteriori allargamenti che possono peggiorare lo spirito di governabilità verso quell’obiettivo ambizioso, originario, degli “STATI UNITI D’EUROPA” cui miravano i padri fondatori. (s.m.)

IL SACRIFICIO DI DRAGHI E IL NUOVO QUADRO POLITICO, di Francesco Occhetta, 23/7/2022, da “comunità di connessioni”, https://comunitadiconnessioni.org/

(“segnalo quest’articolo: sul terzultimo capoverso della riflessione possiamo pensare qualcosa anche noi” Gianni Ferronato)

   Mario Draghi non è più il Presidente del Consiglio. L’escalation ha lasciato sbigottiti gli osservatori internazionali: Conte ha aperto la crisi, Salvini l’ha cavalcata, Meloni l’ha capitalizzata e Berlusconi l’ha avallata, svuotando per sempre le attese moderate e liberali di cui Forza Italia era portatrice. È stato sacrificato così Mario Draghi, il presidente riformatore che, nei suoi 523 giorni di governo, ha svolto il ruolo di garante del Paese grazie a tre caratteristiche determinanti: credibilità, competenza e rigore morale.

   Quotidiani come il New York Times e Le Monde hanno parlato di crisi senza precedenti e di choc per l’Europa. La sua portata era stata percepita anche dal mondo produttivo, da molti rettori di università, dall’associazionismo e da molti sindaci, ma il loro appello non è bastato, anzi è stato ignorato dal Parlamento e dalle segreterie dei partiti di Lega, M5S e FI. Anche il bacio tra il M5S e il Pd, simile a quello di Cassandra ad Apollo, è stato rinnegato da Letta troppo tardi e ha impedito a Draghi di continuare attraverso altre maggioranze possibili.

   L’eredità di Draghi, però, è destinata a rimanere a lungo e a segnare il corso della nostra storia politica. Il suo discorso conclusivo al Senato, infatti, contiene le linee programmatiche da realizzare per la cultura politica riformista. Anche se la crisi ha colto Draghi di sorpresa, umiliandolo, lui è riuscito comunque a essere responsabile fino in fondo davanti a un Governo con poteri limitati: “Dobbiamo far fronte alle emergenze legate alla pandemia, alla guerra in Ucraina, all’inflazione e al costo dell’energia. Dobbiamo portare avanti l’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, anche per favorire il lavoro del Governo che ci succederà”.

   Molti analisti hanno rimproverato a Draghi di non essere un politico (partitico) e questo lo ha sempre sostenuto anche lui; è stato però il “Presidente della verità”, una sorta di cartina di tornasole che ha smascherato le vere intenzioni dei partiti. Così come avviene in natura, i magneti si sono attratti. È accaduto per Fratelli d’Italia, Lega e la parte della destra di FI.  Mentre M5S e PD, come l’emulsione di acqua e olio, si sono divisi. I simili del Centro, invece, si sono cercati, anche se l’area ha piccole orchestre con primi violini – come Calenda e Renzi – che in forme diverse hanno gestito la crisi con lucidità e visione politica ma devono ancora scrivere una sinfonia unitaria.

   La scelta atlantica voluta dai padri costituenti dopo la guerra è, di fatto, rimessa in discussione. Con uno slogan potremmo affermare che l’influenza russa ha vinto su quella americana. Del resto, sarà forse una coincidenza storica, ma il sacrificio di Draghi rientra in un più ampio scenario di crisi che passa dalle dimissioni di Johnson in Inghilterra, alla debolezza politica di Macron in Francia, dalla poca rilevanza del cancelliere tedesco Scholz in Germania fino alla fragilità di Biden negli Usa a cui manca la maggioranza in Senato e alla Corte Suprema.

   Lo scenario politico si è così improvvisamente composto e ricomposto: atlantisti, riformisti ed europeisti da una parte, nazionalisti, populisti e sovranisti dall’altra. La nettezza delle appartenenze e l’impossibilità di coesistere hanno generato tensioni e fratture: prima della crisi la scissione di Di Maio; dopo la caduta del governo quella dei ministri Gelmini, Brunetta e, forse, Carfagna. Il quadro è destinato a cambiare ancora più profondamente: al di là delle sigle si riposizionano le storie personali.

   I sondaggi danno vincente la destra, favorita da una legge elettorale che la lentezza del Parlamento non ha saputo cambiare. Tuttavia, pesano sul voto numerose incognite sociali, come il dolore per i 170.000 morti a causa della pandemia, la paura della guerra in corso in Ucraina e le conseguenze dell’inflazione destinate ad acuire la tensione sociale. La crisi è stata preparata gettando sul popolo la benzina di parole d’odio e la fiamma della rabbia e della menzogna. Questo ha fatto vincere singole battaglie ad alcuni partiti, ma perdere l’intera partita al Paese. Capitava già nell’antica Roma quando gli interessi delle parti tradivano l’interesse generale, il bene comune e lo spirito dei principi che reggono le costituzioni.

   Si voterà il 25 settembre, lo ha annunciato il Presidente Mattarella apparso con un volto severo e preoccupato. Sulle sue spalle grava il peso di una unità tradita e da ricostruire. Anche il Presidente della Cei, il Cardinale Matteo Zuppi, ha voluto dire il grazie a Draghi a nome della Chiesa in Italia, ricordando inoltre che “è l’ora della responsabilità e dei doveri”. La Chiesa c’è e opera silenziosamente nel Paese.

   In questo scenario così difficile sentiamo l’urgenza di promuovere, un’alleanza trasversale e inclusiva per connettere movimenti sociali, esperienze civiche, energie imprenditoriali, risorse intellettuali e morali, i partiti riformisti nazionali e le esperienze politiche locali come quelle che hanno cambiato il paradigma politico a Verona durante le recenti elezioni comunali. Un luogo politico di relazioni inclusive e di pensiero in cui poter sognare e guardare lontano come Paese insieme a quelle aree politiche del mondo che scommettono sulla pace e i diritti umani, dove le tensioni sociali vengano ricomposte con scelte concrete. Era questo il ruolo dei partiti, prima che si trasformassero in comitati elettorali. Occorre costruire qualcosa di più grande, che recuperi la fiducia, ormai perduta, dei cittadini. La politica deve essere pensata nelle forme del terzo millennio, abbandonando schemi e procedure novecentesche, ormai morte per sempre.

   Intorno all’agenda Draghi, come è stato scritto da molti, potrebbe rigenerarsi un riformismo di matrice degasperiana, europeista e atlantista, meritocratico e solidale, popolare e sussidiario, innovatore e ambientalista, cultore dei diritti e custode dei doveri, che sappia mettere al centro i temi del lavoro e dell’istruzione, dello sviluppo economico e della sostenibilità sociale e demografica e la tutela della dignità umana in tutte le sue forme.

   In questa ora della storia occorre essere forti e lucidi. Parafrasando un verso di Ungaretti: la mèta è (ri)partire. Ciascuno porti il proprio mattone per costruire la casa comune. La classe politica ha bisogno di nuove persone, moderate e competenti, capaci di liberare speranza e sogni. Questa scelta morale, in fondo, sarebbe il modo migliore per onorare il sacrificio di Mario Draghi. (di Francesco Occhetta, da https://comunitadiconnessioni.org/)

UN CENTRO EUROPEO PER IL DOPO DRAGHI (di Massimo Cacciari, da “La Stampa” del 23/7/2022)

   Dopo tante Caporetto di fila come sperare nella vittoria? Mai è stato meno invidiabile il ruolo di coloro che questa virtù teologale, la speranza appunto, sono costretti a coltivare e diffondere, come il nostro Presidente. Anche a costo di violare il principio saldissimo di non contraddizione: si sciolgono le Camere, si indicono elezioni a settembre con relativa campagna elettorale nella rovente estate e, allo stesso tempo, si afferma che non devono consentirsi pause nella realizzazione degli impegni, specie per quanto riguarda il PNRR e si esige dalle forze politiche che proseguano nell’impegno comune (quale? quello che ha portato a questa ennesima crisi?).

   E’ razionalizzabile quanto avvenuto? O si tratta di quegli “eventi” nelle vicende umane di cui è inutile cercare una “forma”, o che è impossibile interpretare secondo un qualche rapporto di causa ed effetto? Che un Governo che avrebbe potuto certamente ottenere una salda maggioranza parlamentare semplicemente constatando che una sua componente era venuta meno e sostituendone nella sua compagine i rappresentanti abbia deciso di dimettersi, è in politica un monstruum, che nessuno dei nostri eroi al momento si industria a spiegare.

  Non è una spiegazione, infatti, ma un infantile balbettio accusare del fallimento generale chi, nell’ultima scena, si trova con l’arma del delitto in mano. Soprattutto se a costui quell’arma sembra essere servita per il suicidio. Le dimissioni così irrevocabili da portarci alle elezioni durante l’estate, e nelle drammatiche condizioni in cui versa il Paese, potrebbero essere spiegate al “popolo sovrano” soltanto in due modi: o si pensa che il risultato della nuova consultazione elettorale possa rappresentare una decisa affermazione della linea portata avanti dall’attuale Presidente, così da svilupparla finalmente nel senso delle riforme auspicate senza più impedimenti (come avvenuto varie volte nella storia delle democrazie europee), oppure si prende atto che l’attuale maggioranza, e dunque lo stesso governo che ne riflette la composizione, non sono assolutamente in grado neppure di garantire l’attuazione dei provvedimenti e degli impegni già presi, e che ogni tentativo di farli sopravvivere sarebbe puro accanimento terapeutico.

   Se è così, perché di grazia si è ripetuto nelle sedi ufficiali e in tutti i bollettini governativi offerti dai media esattamente l’opposto? Fino a giungere ai calorosi ringraziamenti per il meraviglioso lavoro prestato, i grandi servizi resi al Paese, da maggioranza e ministri?

   Carattere intramontabile dell’agire politico e della comunicazione politica in questo Paese, da trent’anni a questa parte, sembra essere la vuota retorica sugli impegni e sui beni comuni, costantemente smentita dai fatti, ma soprattutto l’idea, che vi è sottesa, che l’opinione pubblica non sia in grado di comprendere un discorso sobrio, disincantato, realistico sui problemi e sulle contraddizioni da affrontare, e perciò anche sulle difficoltà dell’azione di governo.

   Lo “Stato tutelare” – il cui pericolo era già avvertito dai primi teorici della democrazia – sta celebrando nella nostra gestione delle cosiddette “emergenze” un piccolo trionfo. Come si parla del debito che straripa come fossero soldi trovati sotto l’arcobaleno, così le ragioni di questa crisi si risolvono demonizzando questo o quell’altro “assassino”.

   Semplificare è la parola d’ordine, sempre e ovunque, per l’epidemia, per la guerra, per le dimissioni del Governo. Semplificare perché l’opinione pubblica è composta da infanti che non sarebbero in grado di comprendere la dura legge dei fatti? Conte voleva le elezioni anticipate? Via, non deliriamo. Conte cercava semplicemente di legittimarsi come capo dei 5Stelle e “posizionarsi” rispetto a Di Maio. C’è chi va in cerca di un asino e trova un regno, e chi va in cerca di voti e li perde. Se, poi, si “esalta” il peso dell’uscita di Conte, è conseguenza inevitabile che da parte della destra si chieda la riformulazione del patto (si fa per dire) di governo, con tutta la ufficialità e la ritualità necessarie.

   A questo punto, altrettanto inevitabile è che non ci stia il Pd, poiché, a questo punto, la soluzione della crisi avrebbe segnato un’affermazione netta di Salvini. Ora invece è lui che “precipita” in Fratelli d’Italia, determinando qualche sconquasso anche in Forza Italia, non votando la fiducia su un ordine del giorno fatto apposta per non lasciare alcun margine di trattativa. E si spera che tutti coloro che non hanno seguito, senza se e senza ma, la leadership Draghi paghino pegno alle prossime elezioni.

   Sarà un buon calcolo? Finora la vichiana legge dell’eterogenesi dei fini (andare a Oriente e trovare Occidente) l’ha fatta da padrona. Fuorché forse per Draghi stesso, che probabilmente questa “uscita” meditava almeno da quando, con la fallita presidenza della Repubblica, era evidente l’intenzione “liquidatoria” nei suoi confronti di 5Stelle e destra.

   Che “campo largo” si può formare contro quest’ultima? Non certo a esplicita guida Draghi, che non ci starebbe mai (anche se mai dire mai in questo Paese). Un “campo largo” a sommatoria di prodotti del tutto eterogenei, senza alcuna storia o strategia comuni? Pd e Di Maio? Magari anche convincendo per calcoli aritmetici e accordi per qualche poltroncina parlamentare Renzi e Calenda? Troppo poco, anzi: niente.

   L’idea di Letta può avere qualche possibilità di successo soltanto se si rende credibile, anche con un’operazione di propaganda di respiro europeo, che essa rappresenta in pieno non solo la posizione di Draghi (e di Mattarella), ma quella di tutti i “valori occidentali” e, più concretamente, tutti poteri economico-finanziari che hanno in mano oggi, ci piaccia o no, il nostro destino. Con Macron in Francia l’operazione ha, almeno in parte, funzionato. Ma da noi non c’è Macron – ovvero, non abbiamo quel regime presidenziale che ne permette l’esistenza. Un credibile rassemblement di Centro europeo è da noi tutto futuribile. Basterà ferragosto per sbozzarne almeno un quadro elettoralmente competitivo? E meglio lasciare la “sinistra” a nonni e nipoti – o allo spirito di utopia. – (MASSIMO CACCIARI)

LA POLVERE D’ORO (parte 1a)

“…internet scomparirà. Ci saranno […] un’infinità di dispositivi, sensori, cose indossabili, cose con le quali interagire, che non ve ne accorgerete neanche più. Sarà parte di noi costantemente.”.

Eric Schmidt, CEO di Google, al World Economic Forum di Davos nel 2015

DI COSA PARLA QUESTO ARTICOLO: Una vecchia storia personale. Il Dottor Watson si presenta: è un tipo simpatico e utile. Il Dottor Watson è anche un po’ stupido. Google mette Watson al nostro servizio. Google trasforma la polvere in oro. Modifiche del comportamento e “risultati garantiti”. Arriva Sherlock Holmes e …non è detto che sia una buona cosa. Misuriamo il nostro potere e il loro potere.

Dal 1996 mi occupo di comunicazione digitale dal punto di vista professionale. Dopo un corso FSE della regione Veneto rivolto a laureati sulla Progettazione Multimediale ho iniziato a realizzare applicazioni multimediali interattive per poi indirizzarmi verso i siti internet. Nel tempo ho iniziato ad occuparmi anche di Web marketing, una scelta in qualche modo naturale: quando i siti hanno smesso di essere “biglietti da visita” delle aziende ed hanno iniziato a sgomitare per diventare visibili nelle ricerche di Google (che nel frattempo aveva polverizzato tutti gli altri motori di ricerca) le aziende volevano essere presenti nella prima pagina di Google quando un utente cercava un servizio o un prodotto che loro potevano fornire. Ma questo è stato solo l’inizio.

Il passaggio successivo e dirompetente, successivamente agli anni 2000, da parte delle grandi piattaforme (Google, Facebook, ecc.) è stata la scoperta che le persone facendo ricerche in rete, diventando “amici” nei social e postando messaggi fornivano informazioni, moltissime informazioni, una montagna di informazioni. Non solo su di loro, sulle loro abitudini, sul loro lavoro, sui loro interessi, ma anche sui loro conoscenti sulla loro rete di relazioni, e moltissime altre ancora. Un mondo di informazioni che avevano una caratteristica unificante: non erano prodotte intenzionalmente (come accade facendo una specifica ricerca su Google) ma in maniera inconsapevole.

Pensate ad un Dottor Watson (l’assistente di Sherlock Holmes) che vi segue continuamente, a cui nulla di voi sfugge: nulla del vostro comportamento, del vostro abbigliamento, dei vostri spostamenti, dei siti che visitate, delle ricerche che fate, dei social e delle piattaforme che seguite, ecc. Watson scrive tutto questo in un suo quadernetto che tiene sempre con sè. Però è molto gentile con voi: se oggi gli chiedete dove vi trovavate il 10 giugno alle 16.30, Watson apre il suo quaderno e vi dirà con precisione dove eravate in quel momento, dove vi stavate dirigendo e da dove siete arrivati. Se gli chiedete che film stavate guardando su Neflix sabato scorso, Watson lo farà apparire immediatamente nel vostro device, ma non solo: vi ricorderà che non avete finito di vederlo e lo farà partire se lo vorrete dal momento esatto in cui lo avete interrotto.

Ma Watson può aiutarvi ben di più: se dovete fare un bonifico vi porterà alla pagina di login della banca e vi ricorderà i dati di login, avvierà il procedimento di riconoscimento e verifica, ad esempio attraverso una app del vostro telefono che confermerà la vostra identità.

Nel momento in cui voi producete un bit, con qualsiasi strumento e piattaforma, consapevolmente e inconsapevolmente (ad es. se avete una casa domotica quando aprirete il frigo per prendervi una birra il Dottor Watson prenderà nota anche di questo e vi avviserà che la confezione di hamburger è prossima a scadere), Watson registrerà tutto, con una precisione che nel mondo umano si potrebbe chiamare acribia.

Ma Watson non è una creatura umana, anche se in molte delle sue “incarnazioni” si camuffa come tale: Alexa, Ok Google, la signorina che vi guida nei percorsi stradali. Watson è un insieme di device digitali, non solo quelli che possedete o utilizzate, ma anche quelli di altre persone, o che vengono gestiti da società, organizzazioni pubbliche e private (ad es. il bancomat di un negozio, il terminale dell’ULSS dove prenotate un esame, ecc.) che hanno in comune una cosa: VOI.

Qui sorge spontanea una domanda: se Watson sa tutto di tutti (voi che leggete compresi)… che ruolo rimane a Sherlock Holmes?

E’ una bella domanda (e soprattutto giusta), perché non dobbiamo sopravvalutare Watson. Lui si limita a registrare sul suo libretto tutto su di noi (almeno potenzialmente), tutti i bit che produciamo, ma non fa nulla di più di questo, proprio come il Dottor Watson di Conan Doyle non è in grado di dare un senso alle informazioni che ha registrato: per questo c’è bisogno di Sherlock Holmes. E’ Holmes che dagli indizi che Watson raccoglie ricava informazioni inedite. Holmes interroga Watson, che spulcia il suo libretto e fornisce i dati che gli vengono richiesti e dai quali l’investigatore con la sua capacità deduttiva ricava le informazioni che gli servono.

Ecco, fino al 2000, anno più, anno meno, il Dottor Watson era al nostro esclusivo servizio, di noi utenti dei servizi internet. Noi formulavamo una domanda e Watson (Watson-Google, Watson-Altavista, Watson-Yahoo, Watson-Virgilio, ecc.) cercava le risposte migliori alla nostra domanda, e ce le mostrava.

Fino a quando….

Nel 1998 Larry Page e Sergey Brin, dopo la laurea a Stanford creano e fondano Google. Non il primo motore di ricerca, ma un motore che si differenzia dagli altri perché i suoi creatori e gli ingegneri nel corso del tempo (non subito, ci vorranno almeno una decina d’anni) arrivano a comprendere che le ricerche fatte su Google dai suoi utenti producono quella che in seguito chiameranno “polvere d’oro“. Parliamo sempre di dati, ma fino a quel momento quelli che in seguito si trasformeranno in “polvere d’oro” erano considerati da tutti dati di scarto: quando immetto una parola chiave su Google, Google mi restituisce una serie di risultati, mettendo ai primi posti i risultati che ritiene più attinenti alla mia ricerca. Nell’elenco dei risultati oltre al link al sito web corrispondente, posso leggere una brevissima sintesi dei suoi contenuti che mi permette di capire e a colpo d’occhio di individuare quelli più corrispondenti alla mia richiesta. Quindi seguirò uno o più link in base alle mie necessità che mi porteranno ai relativi siti web.

Nello stesso momento anch’io però fornisco delle informazioni a Google (e al Dottor Watson), ad esempio quali dei risultati presentati da Google sono per me più attinenti alla ricerca che sto facendo. Google-Watson registrerà i miei clic, i siti che visito, persino (questo più recentemente) che cosa leggerò nel sito e su quali immagini mi soffermerò, il tempo di permanenza, le azioni che farò in seguito, ecc. In realtà fino a quando resto sul computer e sullo smartphone non smetto mai di produrre informazioni. Che verranno raccolte da Watson. Fino al 2000 questi dati non interessavano a nessuno. Perché nessuno aveva immaginato che potevano essere sfruttati economicamente (innanzitutto). Ma restiamo a Google: nel 2002 Hal Varian, capo economista di Google (e una delle sue menti più brillanti) spiega con chiarezza cosa si propone il motore di ricerca: “Ogni azione di un utente viene considerata un segnale da analizzare e reinserire nel sistema

Shoshana Zuboff spiega bene questa fase:

L’algoritmo Page Rank, chiamato col nome del fondatore dell’azienda, aveva già dato a Google un vantaggio significativo, identificando i risultati più popolari per ogni query (quesito posto a Google). Negli anni successivi, grazie alla raccolta, all’archiviazione, all’analisi e allo studio dei sottoprodotti di tali query, Google sarebbe diventata il punto di riferimento nelle ricerche sul web. È fondamentale operare una distinzione. Nel primo periodo, i dati comportamentali venivano usati solo a beneficio dell’utente: offrivano un valore senza alcun costo, e quel valore veniva reinvestito nella user experience, migliorando i servizi (gli stessi miglioramenti, a loro volta, venivano offerti agli utenti gratuitamente). Gli utenti fornivano la materia prima in forma di dati comportamentali, e tali dati venivano raccolti per migliorare la velocità, l’accuratezza e la rilevanza delle ricerche, e per contribuire alla realizzazione di prodotti secondari come il traduttore. Chiamo questo processo il ciclo di reinvestimento del valore comportamentale, nel quale tutti i dati comportamentali vengono reinvestiti nel miglioramento del prodotto o del servizio.

Zuboff, Shoshana. Il capitalismo della sorveglianza: Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (Italian Edition) (p.81). Edizione del Kindle.

In questa situazione il Dottor Watson raccoglie dati e informazioni con un solo scopo: fornire risultati sempre più precisi alle mie domande di utente. Per farlo studia il mio comportamento e tutte le mie azioni (insieme a quelle di milioni di altre persone), quindi alimenta con tutti questi dati un algoritmo che dai dati che entrano in continuazione impara a conoscermi sempre di più: i mie gusti, i miei interessi, i miei tick, i miei orari, le mie fobie… e quindi a diventare sempre più bravo e preciso nelle sue risposte alle mie domande e alle domande simili alle mie prodotte da migliaia di altri utenti.

In apparenza era la quadratura del cerchio che accontentava tutti: Google-Watson che diventava il miglior motore di ricerca in circolazione e gli utenti di Google, che venivano soddisfatti al meglio nelle loro ricerche. Fine.

Ma Google poteva rinunciare alla “polvere d’oro“? Questi dati, ma soprattutto il sistema di feedback capace di apprendere dalle azioni degli utenti, potevano trasformare i guadagni di Google in senso esponenziale: in che modo?

Lo spiega molto bene sempre Hal Varian nel 2010, dopo che questa consapevolezza ha modellato i nuovi algoritmi di Google:

“(…) in due straordinari articoli su altrettante prestigiose riviste scientifiche, Varian ha esplorato il tema delle “transazioni via computer” e della loro capacità di trasformare l’economia moderna. Entrambi sono scritti in modo molto accessibile, ma lo stile semplice di Varian fa da contrappunto alle sue dichiarazioni spesso sconvolgenti: “Al giorno d’oggi c’è un computer di mezzo in quasi ogni transazione […] e ora che sono disponibili, tali computer vengono utilizzati in molti altri modi”. Varian identifica poi quattro nuovi usi: “l’estrazione e l’analisi dei dati”, le “nuove forme contrattuali dovute a un miglior monitoraggio”, la “personalizzazione e customizzazione” e gli “esperimenti continui”.”

Zuboff, Shoshana. Il capitalismo della sorveglianza: Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (Italian Edition) (p.77). Edizione del Kindle.

Ora quindi il Dottor Watson continua il suo lavoro di trascrizione dei nostri dati ma il suo libretto non è più al nostro esclusivo servizio, non è più destinato a rimanere nelle nostre mani, ma viene, ad esempio, venduto a terzi per gli scopi più diversi: da quelli immediatamente commerciali (quindi una volta individuati i nostri interessi e bisogni Watson cede queste informazioni a chi vende servizi e prodotti attinenti) a quelli di profilazione della singola persona per decidere, ad esempio, se un determinato individuo è affidabile per ricevere un prestito, oppure se è adatto ad una certa mansione lavorativa. Qui il Dottor Watson fornisce i dati a degli Algoritmi-Holmes e loro (analizzando i dati di quel profilo) “zac!” forniscono la risposta al loro cliente: “si, affidabile” oppure “no, inaffidabile”! (la matematica Cathy O’ Neil ha dimostrato come queste profilazioni siano costruite in realtà sui preconcetti dei costruttori degli algoritmi (e quindi di Holmes), che penalizzano ad es. le minoranze etniche o le persone che abitano in certi quartieri “malfamati”).

Ma il salto più grande è questo, che mai Sherlock Holmes aveva solo immaginato: grazie ai dati forniti dal Dottor Watson non solo gli è possibile conoscere in anticipo il nostro comportamento, ma addirittura… determinarlo!

Ma come è possibile determinare un comportamento?

Ovviamente nessuno dei protagonisti del mondo digitale si azzarda ad utilizzare questa locuzione, almeno pubblicamente, preferendo sostituirle con altre meno cariche di significati negativi: ad es. “certezza dei risultati“!

Alcuni esempi reali e conosciuti.

Un esempio noto a tutti è Cambridge Analytica, dove il risultato atteso era la vittoria elettorale di Trump alle elezioni del 2016, il CEO di CA, Alexander Nix, ha spiegato come utilizzando una massa imponente di dati (“vicina a quattro o cinquemila informazioni su ogni singolo adulto negli Stati Uniti”) è stato possibile “Influenzare gli elettori basandosi (…) sulle loro personalità”. Tutte le grandi piattaforme, da Google a Facebook hanno lavorato mirando a questo preciso obiettivo: ottenere un risultato certo, quale esso fosse, vendere un prodotto, determinare l’affidabilità di una persona, vincere una elezione.

Nel 2012 i ricercatori di Facebook pubblicarono su Nature “Un esperimento d’influenza sociale e mobilitazione politica su 61 milioni di persone”: dimostrando di essere riusciti a modificare la scelta di partecipare o meno al voto delle elezioni di mezzo termine negli USA di una quota consistente degli elettori solamente “suggerendo” o “premiando” gli utenti in modi che indirizzavano il loro comportamento nel mondo reale verso una serie di azioni specifiche determinate dagli “sperimentatori”.

Nel 2015 La Commissione Europea finanziò il progetto “SEWA: Automatic Sentiment Analysis in the Wild”, spiegando che l’obiettivo era mettere a punto tutte

“le tecnologie che possono analizzare in modo consistente e accurato comportamenti e interazioni facciali, vocali e verbali, per come vengono osservati dalle webcam onnipresenti nei dispositivi digitali, avranno un impatto profondo sia sulle scienze di base, sia sull’industria. Quantificano indicatori di comportamento che da sempre sfuggono a ogni misura, in quanto troppo sfumati o sfuggenti per essere catturati da orecchie e occhi umani”.

L’obiettivo è sempre lo stesso: aiutare gli addetti al marketing a “targettizzare il pubblico” e a “predire le performance” per quelle che Zuboff chiama le nuove “economie d’azione”: operazioni di modifica automatizzata dei comportamenti.

Le modalità per arrivarci sono molto interessanti e ben chiare agli esperti di marketing, ad esempio:

  1. nudge, la “gomitata”: qui le azioni vengono strutturate per portare le persone ad una svolta prevedibile, l’aula scolastica con tutte le sedie rivolte verso la cattedra, o in un sito web che ti richiede di cliccare su molte pagine poco chiare per sfuggire ai suoi cookie, invitarti ad attivare un rinnovo automatico di un servizio per evitare che si interrompa se dimentichi di rinnovarlo, come spiega il data scientist di una catena di supermercati: “Con questa tecnologia puoi far fare determinate cose alle persone. Anche se si tratta solo del 5% per cento delle persone, avrai portato il 5 per cento delle persone a compiere un’azione che altrimenti non avrebbero fatto, perciò da un certo punto di vista l’utente perde parte del suo autocontrollo”.
  2. L’herding: l'”allevamento”: comporta il controllo degli elementi chiave del contesto attorno ad un individuo. Ad esempio se non paghi l’assicurazione dell’auto, oppure se non sei in grado di guidarla, da remoto viene spento il motore. Come ha spiegato il capo dei data scientist di una azienda della Silicon Valley alla Zuboff:

Lo scopo di tutto quel che facciamo è cambiare il comportamento reale delle persone su larga scala. Vogliamo capire come costruire il cambiamento del comportamento di una persona, e vogliamo cambiare il modo in cui tante persone prendono le loro decisioni quotidiane. Quando le persone usano la nostra app, possiamo catturare i loro comportamenti e identificare quali sono quelli buoni e quali quelli cattivi. In seguito sviluppiamo dei “trattamenti” o dei “chicchi di dati” che selezionano i comportamenti buoni. Possiamo testare quanto i nostri consigli determino certe azioni, e quanto profitto ci portino determinati comportamenti.”

Qui è necessaria l’unione di mezzi tecnologici adeguati unita alla capacità di automatizzarne le azioni. Un esempio recente probabilmente è quello del Green Pass, utilizzato in alcuni paesi come strumento per spingere le persone a vaccinarsi, che però segna un passaggio inedito: in questo caso il soggetto che utilizza l’herding non è un soggetto privato ma un soggetto pubblico, il governo, in ragione di una “emergenza sanitaria“. Il Green Pass diventa un passaporto indispensabile per poter accedere a determinati servizi: trasporto pubblico/privato, negozi, cinema/teatri, scuola, posto di lavoro, ecc.

La procedura è automatizzata, attraverso gli smartphone una applicazione è in grado di riconoscere il Green Pass come valido o meno.

E’ significativo che sia il passaggio di Google, e quindi di un’azienda privata, all'”economia d’azione“, ovvero a procedimenti automatizzati che mirano a modificare i comportamenti e le scelte delle persone, così come la creazione e messa al lavoro del Green Pass, ad opera quindi di un governo di uno stato democratico, siano nati in entrambi i casi da uno “stato di necessità”.

Lo evidenzia con molta chiarezza per il caso di Google (che stava soccombendo nel 2000 con molte altre aziende digitali allo scoppio della “bolla di internet”) Shoshana Zuboff:

“In politica viene dichiarato lo stato d’emergenza per sospendere le leggi e introdurre un nuovo esecutivo giustificato da una crisi. Alla fine del 2000, lo stato d’emergenza divenne per Google il pretesto per annullare il rapporto di reciprocità con gli utenti (…). Per dare una risposta all’ansia degli investitori, Brin e Page incaricarono il piccolo team di AdWords di cercare nuovi modi per fare soldi. Secondo Page, l’intero processo per gli inserzionisti doveva essere semplificato: “Non avrebbero nemmeno dovuto scegliere le parole chiave, le avrebbe scelte Google al posto loro”.

Zuboff, Shoshana. Il capitalismo della sorveglianza: Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (Italian Edition) (p.85). Edizione del Kindle.

I risultati dal punto di vista economico portati furono immediati: nel 2001 Google quadruplica i suoi ricavi portandoli a 86 milioni di dollari, nel 2002 raggiunsero i 347 milioni di dollari e 2 anni dopo superarono 1 miliardo e mezzo di dollari, nel 2004, l’anno della quotazione in borsa raggiunsero 3 miliardi e mezzo di dollari.

Utilizzando i dati comportamentali degli utenti di Google (e seguendoli nei loro spostamenti nelle diverse piattaforme) per alimentare gli algoritmi al servizio dei clienti che utilizzavano gli annunci a pagamento di Google (Adwords) i risultati in termini di efficacia (vendita del prodotto o servizio) diventavano esponenziali rispetto al passato. Ma non solo Google era in grado di seguire i suoi utenti nei loro spostamenti nel web, anche gli annunci ora seguivano gli utenti nei loro spostamenti, nei blog e nei siti nelle piattaforme informative dei media, ecc.

Ovviamente, come visto qualche riga più sopra, l’utilizzo dei dati comportamentali, ovvero la “polvere d’oro” raccolta da Watson, per renderla produttiva economicamente da questo momento diventa un imperativo ed un procedimento sistematico per tutte le piattaforme digitali, quali che siano i loro prodotti, da Facebook a Netflix, da Amazon a Microsoft.

L’accoppiata Watson-Holmes da questo momento lavora a pieno ritmo trasformando i dati comportamentali da polvere d’oro in lingotti sonanti, come si può vedere dalla scheda qui sotto nel passaggio dal 2000 ad oggi delle 10 maggiori società al mondo per capitalizzazione di mercato (Alphabet è Google) vede salire rapidamente ai primi posti le società che sfruttano la polvere d’oro, la vendono e la trasformano.

Tratta da: Media digitali: La storia, i contesti sociali, le narrazioni, di Gabriele Balbi e Paolo Magaudda, Laterza, 2021.

Ma è tutto il sistema digitale che, da questo momento in poi, si struttura per operare seguendo questo modello: fornire servizi gratuiti o a pagamento di qualsiasi tipo (dalla piattaforma di streaming video alla chat, dalla mappa geolocalizzata e servizio di posta, dal portale delle vendite online a quello per acquistare musica) comporta la cessione di un bene (gratuito o a pagamento) e CONTEMPORANEAMENTE l’acquisizione di una serie di dati che ci riguardano di cui NON siamo consapevoli, che vengono ceduti, elaborati, trasformati, resi significativi e remunerativi con modalità diverse, in particolare guidando le scelte delle persone verso un determinato obiettivo: l’economia d’azione di cui parla Zuboff. Ad es.

“le piattaforme hanno acquisito un grande potere nell’indirizzare i gusti degli ascoltatori verso particolari generi o canzoni (…) contribuendo così a incanalare gli interessi dei pubblici sui contenuti che ritengono potenzialmente più profittevoli”.

Media digitali: La storia, i contesti sociali, le narrazioni, di Gabriele Balbi e Paolo Magaudda, Laterza, 2021, pag.158.

In tutto questo, quale spazio hanno le persone? Quale potere hanno gli stati democratici di esercitare un controllo di qualche tipo? Soprattutto: hanno la forza e la volontà di esercitarlo? Giustamente qualcun altro si potrebbe invece chiedere: ma c’è veramente qualcosa da temere? Le aziende vogliono modificare il comportamento delle persone per dominarle oppure vogliono semplicemente come sempre solo vendergli dei prodotti e Google & C. stanno aiutandole solo a fare questo (a beneficio del PIL e di tutti noi), non succedeva la medesima cosa poi con la pubblicità televisiva o cartacea?

La differenza sta nella polvere d’oro: noi la produciamo continuamente. Il sistema digitale è attrezzato per raccoglierne ogni granello per poi trasformarla in denaro sonante. Nel sistema pubblicitario precedente noi eravamo solo un’ipotesi nella mente dei pubblicitari. Oggi ci sono i mezzi per leggerci direttamente nella mente.

E’ solo questo?

No purtroppo: la polvere d’oro che produciamo si trasforma anche in potere su di noi, da parte di chi la raccoglie e la sfrutta. Un potere sempre maggiore, sempre più forte, sempre più efficiente, sempre più efficace. Soprattutto unidirezionale.

Vorrei concludere su questo punto, dall’analisi che Shoshana Zuboff fa partire dalle considerazioni del padre della Sociologia, Durkeim, che segnalò gli effetti distruttivi nella disuguaglianza sociale che nasce da una asimmetria di potere talmente estesa da rendere impossibile e inconcepibile persino la stessa possibilità di combattere per difendersi e difendere i propri diritti:

“Come un secolo fa Durkheim allertava la propria società, così le società odierne sono minacciate dalla deriva della divisione dell’apprendimento verso patologia e ingiustizia, per mano delle asimmetrie di conoscenze e potere senza precedenti raggiunte dal capitalismo della sorveglianza (…)

Al momento, sono i capitalisti della sorveglianza a sapere. È la loro forma di mercato che decide. È la concorrenza tra capitalisti della sorveglianza a decidere chi decide.

Zuboff, Shoshana. Il capitalismo della sorveglianza: Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (Italian Edition) (p.208-214). Edizione del Kindle.

E qui introduco il prossimo articolo, che nasce e si sviluppa proprio attorno a questa “asimmetria” tra chi detiene gli strumenti digitali (chiamiamolo il Signore dell’Alto Castello?) e chi invece è destinato ad essere la “materia prima” da cui questi strumenti ricavano le informazioni che alimentano questi poteri. Ma su queste asimmetrie ci possiamo scontrare anche noi, nella nostra società, ad esempio tra ragazzi e adulti, figli e genitori. E anche a queste asimmetrie il capitalismo digitale guarda con interesse perché sono estremamente produttive :

Michelle Klein, direttrice del marketing di Facebook per il Nord America, che nel 2016, con grande entusiasmo, ha dichiarato pubblicamente che mentre un adulto medio controlla il proprio telefono 30 volte al giorno, il millennial medio lo fa più di 157 volte. E sappiamo già che la Generazione Z tiene un ritmo ancora maggiore (…) Klein ha descritto il modello di progettazione di facebook “un’esperienza comunicativa sensoriale che ci aiuta a connetterci con gli altri senza dover distogliere lo sguardo”, riscontrando con soddisfazione quanto gli esperti di marketing possano trarne vantaggio.”

Zuboff, Shoshana. Il capitalismo della sorveglianza: Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (Italian Edition) (p.470). Edizione del Kindle.

I BAMBINI (PRODUTTORI DI POLVERE D’ORO) E IL DILEMMA DELLA COLPA (parte 2a)

“È stata tua la colpa allora adesso che vuoi?
Volevi diventare come uno di noi
E come rimpiangi quei giorni che eri
Un burattino ma senza fili
E invece adesso i fili ce l’hai”

Da: “È stata tua la colpa” di Edoardo Bennato 1977 Album: Burattino senza fili

DI COSA PARLA L’ARTICOLO; Al (Intelligenza Artificiale) al servizio di chi? Se è inevitabile che senso ha resistere? Cucù! Sorpresa! Sono qui e sono qui per restare! Poniamoci una domanda seria: come è potuto accadere? Un questionario di 11 domande. La colpa è sempre una fregatura. Pericoli e strade da percorrere.

Questo articolo è stato scritto per il giornalino dei genitori della Scuola Primaria Comisso, di Frescada Ovest (Treviso) uscito nel Giugno 2022. Parte da un semplice questionario di 10 domande diffuse nei gruppi WA dei genitori delle 5 classi della Comisso, che si proponeva di capire che tipo di rapporto genitori e bambini avevano con i device digitali.

La Rivoluzione digitale

Il 28 Ottobre 2021 Mark Zuckerberg ha ufficializzato la nuova direzione che prenderanno Facebook, Instagram e le altre piattaforme della sua società: il METAVERSO.

Ma di che si tratta? Pare che Zuckerberg non inventi nulla di nuovo, in un romanzo di fantascienza del 1992 (un anno dopo la nascita di internet) Neal Stephenson immaginava già un universo virtuale dove le persone vivevano una vita dissociata dal loro corpo fisico.

Non sappiamo molto delle intenzioni del padre padrone di Facebook, ma è legittimo cominciare a porsi alcune domande, prima di tutto: questa trasformazione comporterà dei cambiamenti importanti anche nelle nostre vite come è avvenuto nel passato? Solo 30 anni ci separano dalla nascita di Internet, dalla progressiva digitalizzazione e condivisione in una rete globale di informazioni e contenuti, dall’entrata nella nostra vita quotidiana di strumenti digitali come il computer e soprattutto dello smartphone che ci segue ovunque ed è diventato uno strumento indispensabile per molte cose (ad es. per fare un bonifico bancario).

Una domanda legittima potrebbe essere: siamo noi ad esserci adattati a questi strumenti, modificando la nostra vita in funzione delle loro caratteristiche, oppure sono loro che si sono adattati alle nostre esigenze e alle nostre vite?

La più grande studiosa delle trasformazioni portate dalla rivoluzione digitale, la sociologa americana Shosana Zuboff, ha osservato che sono due le gambe che hanno permesso a questa “rivoluzione” di procedere a passo di corsa in questi pochi anni senza incontrare nessuna opposizione: la prima gamba è l’idea che si tratti di una trasformazione inevitabile i (e dunque resistere non serve a niente) la seconda è il fattore sorpresa ii : tutto ciò che è senza precedenti non è riconoscibile e ci lascia disarmati.

A volte ci sentiamo colpevoli, come genitori, perché non sappiamo come comportarci rispetto al CELLULARE o al COMPUTER: possiamo fidarci a lasciare che i nostri figli gli utilizzino? E’ necessario controllarli? E in che modo? Quali limiti dobbiamo stabilire? Molti di noi (soprattutto i genitori di ragazzi e bambini più grandi) conoscono lo stato di apprensione per qualcosa che è stato o potrebbe essere stato messo in rete dai figli, la frustrazione per i fallimenti che scontiamo nel tentativo di controllare o arginare l’uso dei device digitali.

Ci sentiamo colpevoli, inadeguati. Eppure non teniamo conto che tutto questo è successo nell’arco di pochissimi anni e che nessuno di noi e nemmeno la società in cui viviamo (scuola compresa) si è mai prima misurato con questa realtà! I sistemi educativi, la scuola stessa, hanno sviluppato le loro modalità educative e pedagogiche nel corso di decenni se non anche di secoli. Il mondo digitale invece ci ha sorpreso, ci ha preso di sprovvista, possiamo dire anche che ci ha invaso in un tempo brevissimo e con modalità molto, molto efficaci (la prova è che oggi tutti abbiamo un cellulare che ci teniamo stretto e controlliamo in continuazioneiii).

Come è potuto accadere?

Il fattore sorpresa è uno strumento straordinariamente efficace per travolgere le resistenze non solo delle persone, ma anche della società stessa. Non siamo solo noi ad essere presi alla sprovvista, succede anche alla società, alla politica, ai legislatori, ai giudici: che hanno dovuto correre dietro alla tecnologia per cercare di capire quali strade intraprendere per salvaguardare i diritti delle persone, ad esempio a non essere spiate, tracciate, seguite nelle loro faccende quotidiane, nelle loro preferenze, idee, nei loro contatti, relazioni con altre persone, nei loro gusti, con particolare riguardo per i minori.

Dall’altra parte, quella delle aziende digitali, migliaia di professionisti di altissimo livello hanno lavorato per produrre e perfezionare i device digitali (telefoni, computer, console di gioco) i software e i sistemi di telecomunicazione, con l’obiettivo di renderli necessari e indispensabili ai loro utenti (a partire da quelli più indifesi in assoluto, i bambini) e rendere impossibile la disconnessione. Come gli esperti di comunicazione merceologica insegnano ai proprietari di supermercati che merendine e caramelle vanno piazzate alle casse dei supermercati, dove i genitori stazionano con i bambini a cui basta allungare una mano per prenderli ed i genitori si trovano spesso costretti ad assecondarli, qui i professionisti lavorano per produrre tecnologie sofisticatissime che hanno l’obiettivo di tenere adolescenti e bambini incollati a videogiochi, chat e social.

Il nostro questionario

Abbiamo proposto ai genitori della Comisso un breve questionario di 10 domande, senza ambizioni statistiche, immaginandoci una fotografia della nostra scuola da un’angolazione particolare: con quali ansie e speranze stiamo vivendo, bambini, ma soprattutto genitori, il momento attuale della “rivoluzione digitale”. Abbiamo diffuso il link al sondaggio, realizzato con i moduli di Google, attraverso i Gruppi WA delle 5 classi, e 37 genitori hanno risposto compilandolo. Era possibile rispondere a tutte le domande o anche solo ad alcune.

Genitori della Comisso: i nostri bambini e il digitale…

Per le prime tre classi il modulo è stato compilato dai 5 ai 6 genitori, 11 invece rispettivamente per le classi quarta e quinta, dove ovviamente i ragazzi sono sicuramente più attivi dal punto di vista digitale.

Quale mezzo digitale è più utilizzato?

Il mezzo più utilizzato durante la settimana è il TABLET (22), quasi a pari merito al secondo e terzo posto il CELLULARE (13) e il COMPUTER (12).

Il 24,3% dei bambini hanno un loro device personale, mentre il 29,7% utilizzano quello dei genitori. Il 37,8% dei genitori resistono all’idea di acquistare un device per i figli e l’8,1% non vorrebbe proprio farlo.

Il tempo

Tra TABLET/CELLULARE, COMPUTER e CONSOLE DI GIOCO la risposta dei genitori è lampante: è il primo, il CELLULARE/TABLET, che preoccupa di più i genitori per il troppo tempo trascorso nel suo utilizzo (29,7%), a cui segue il COMPUTER (10,8%) e solo il 2,8% per la CONSOLE DI GIOCO che, d’altra parte, solo il 47,2% dei bambini utilizzano.

Cellulare

Mettiamo quindi più a fuoco il mezzo forse più temuto, il cellulare: il timore più grande è che sia una strada per accedere a contenuti non adatti ai ragazzi (20), ma subito dopo i timori sono che passino troppo tempo attaccati al telefono (17), che produca possibili incontri spiacevoli (16), che i ragazzi non riescano a distinguere verità da falsità (16) e infine l’impossibilità di avere un pieno controllo dei possibili abusi (16): rispetto al Tablet e al Computer lo Smartphone è progettato per essere un mezzo ancora più individuale e strettamente personale.

Computer

Il rapporto con il computer si presenta invece più equilibrato, un mezzo di lavoro e divertimento: anche se metà dei bambini non lo utilizza mai (50%) il 16,7% ne possiede uno personale che viene utilizzato a scopo di studio e ricerca (44,4%), una piccola percentuale (5,6%) se ne serve per scrivere blog o montare e mettere on line dei video. Una parte dei bambini lo usa per giocare, navigare, vedere video (30,5%). Solo l’11,1% lo utilizza per il gioco online.

I “pericoli”

Giustamente quando pensiamo ai “pericoli di internet” pensiamo soprattutto ad individui malintenzionati che riescono in un modo o nell’altro a entrare in relazione con i nostri ragazzi o bambini. Però le prime a voler entrare “in relazione” con noi sono le piattaforme digitali (Google, i social, Amazon, ecc.). Vogliono sapere chi siamo, che cosa ci interessa, quali sono le nostre preferenze, chi sono i nostri amici e parenti, in che cosa crediamo… insomma vogliono sapere tutto di noi, perché più informazioni dettagliate a approfondite possiedono, più sono in grado di anticipare i nostri bisogni e le nostre richieste, e soprattutto, come spiega Soshana Zuboff, di prevedere il nostro comportamento per poterlo “vendere” agli interessati (aziende commerciali, enti e organizzazioni economiche, sociali e politiche). L’obiettivo delle piattaforme sarebbe però ancora più ambizioso: arrivare a modificare il comportamento delle persone iv.

Questo è possibile perché siamo in presenza di una situazione “asimmetrica”, dove le piattaforme hanno strumenti e possibilità di sapere tutto di noi, mentre noi non sappiamo nulla delle piattaforme e dell’uso che fanno dei nostri dati, e solo con un impegno costante e una certa fatica siamo in grado, grazie alla legislazione che tutela la protezione dei dati, di limitare il loro utilizzo.

La piattaforma universale che utilizziamo tutti, Google, è molto generosa: compie per noi gratuitamente delle ricerche, ci fornisce mappe geolocalizzate per farci arrivare dovunque, ci informa con le ultime notizie, ci permette di portare la scuola online, ecc. Però noi siamo ancora più generosi con Google: senza i dati che le regaliamo utilizzando questi strumenti Google non esisterebbe e non sarebbe il colosso economico e finanziario che è diventato. Questo ci fa intuire da un lato quanto indispensabili sono per queste piattaforme i nostri dati e quanto siano economicamente rilevanti, dall’altro quanto poco sappiamo dei processi di trasformazione che trasformano i nostri dati in denaro sonante.

Come emerge chiaramente dalle risposte alle ultime due domande del nostro questionario, questa disparità risulta molto evidente ai genitori, che chiedono di essere affiancati dalla scuola (il 63,9% vorrebbe che la scuola organizzasse incontri con esperti) e anche di affiancare i bambini (l’86,1% chiede degli incontri specifici rivolti ai bambini) nel loro approccio al mondo digitale.

La cosa migliore che possiamo fare è stare accanto ai nostri bambini e aiutarli a scoprire con noi le luci e le ombre del Metaverso: trovare momenti e spazi per accompagnarli nell’esplorazione di questi strumenti, per aiutarli a scoprire che una scelta è (e deve essere) sempre possibile!

NOTE:

iI più “inevitabilisti” sono i dirigenti delle grandi piattaforme. Nel 2013 il CEO di Google, Schmidt e il Direettore di google, Cohen, lo spiegarono nell’9incipit del loro libro, La nuova era digitale: “Presto chiunque, sulla faccia della terra, sarà connesso”. Per giustificare questa nuova necessità insindacabile che porterà a una crescita esponenziale nella connettività e nella potenza computazionale, vengono evocate cosiddette “leggi” predittive come la “legge di Moore” e la “fotonica”. E ancora, “il beneficio collettivo dato dalla condivisione della conoscenza e della creatività cresce a un tasso esponenziale. In futuro la tecnologia informatica sarà ovunque, come l’elettricità. Sarà un dato di fatto”. Nella postfazione all’edizione economica gli autori rispondono ad alcune critiche sul carattere assertivo del libro: “Protestare per l’inevitabile aumento di misura e portata della tecnologia ci distrae dalla questione centrale. […] Molti dei cambiamenti dei quali parliamo sono inevitabili. Sono in arrivo”.

Zuboff, Shoshana. Il capitalismo della sorveglianza: Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (Italian Edition) (p.242). Edizione del Kindle.

iiScrive Soshana Zuboff: “Il trionfo del capitalismo della sorveglianza può essere spiegato da un motivo su tutti: è senza precedenti. Ciò che è senza precedenti è immancabilmente irriconoscibile. Quando ci troviamo di fronte a qualcosa senza precedenti, lo interpretiamo automaticamente ricorrendo a categorie familiari, e in tal modo rendiamo del tutto invisibili proprio le sue caratteristiche inedite. Un esempio classico è la nozione di “carrozza senza cavalli” usata da chi si doveva confrontare con l’invenzione senza precedenti dell’automobile. Un esempio tragico è invece l’incontro tra gli indigeni e i primi conquistadores spagnoli. Quando i Taino dei Caraibi precolombiani osservarono per la prima volta i soldati spagnoli, sudati e barbuti, che arrancavano sulla sabbia coperti di broccato e armature, come avrebbero potuto riconoscere il significato, l’unicità e la portata di quel momento? Non potevano certo immaginare la propria distruzione, e così ritennero che quelle strane creature fossero divine e le salutarono con elaborati riti d’ospitalità. È così che ciò che è senza precedenti riesce a non farsi comprendere: le conoscenze pregresse portano a concentrarsi su ciò che è familiare, mettendo in ombra gli aspetti innovativi e trasformando ciò che è senza precedenti in un’estensione del passato.”

Zuboff, Shoshana. Il capitalismo della sorveglianza: Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (Italian Edition) (pp.21-22). Edizione del Kindle.

iiiMichelle Klein, direttrice del marketing di Facebook per il Nord America (…) nel 2016, con grande entusiasmo, ha dichiarato pubblicamente che mentre un adulto medio controlla il proprio telefono 30 volte al giorno, il millennial medio lo fa più di 157 volte. E sappiamo già che la Generazione Z tiene un ritmo ancora maggiore. Klein ha descritto il modello di progettazione di Facebook “un’esperienza comunicativa sensoriale che ci aiuta a connetterci con gli altri senza dover distogliere lo sguardo”,

Zuboff, Shoshana. Il capitalismo della sorveglianza: Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (Italian Edition) (p.470). Edizione del Kindle.

ivSolo a titolo di esempio: “Nel 2012, i ricercatori di Facebook colpirono il pubblico con un articolo dal provocatorio titolo “Un esperimento d’influenza sociale e mobilitazione politica su 61 milioni di persone”, pubblicato sulla rivista scientifica Nature.5 In questo studio a campione casuale e controllato condotto durante la campagna elettorale per le elezioni di medio termine del 2010 per il Congresso degli Stati Uniti, i ricercatori manipolarono in modo sperimentale il contenuto sociale e informativo dei messaggi correlati al voto nei news feed di circa 61 milioni di utenti Facebook, creando anche un gruppo di controllo parallelo. A un primo gruppo venne mostrata un’affermazione all’inizio del loro news feed che li incoraggiava a votare: comprendeva un link per informarsi sui seggi, un pulsante con la scritta ho votato, un contatore che riportava quanti utenti di Facebook avevano riferito di aver votato, e fino a sei foto profilo di amici di Facebook che avevano già cliccato su ho votato. Un secondo gruppo ricevette le stesse informazioni, ma senza le immagini degli amici. Il gruppo di controllo non ricevette alcun messaggio particolare. I risultati dimostrarono che gli utenti che avevano ricevuto il messaggio sul social avevano il 2 per cento in più di probabilità di cliccare ho votato rispetto a chi aveva ricevuto solo l’informazione, e lo 0,26 per cento in più di probabilità di cliccare sul sito informativo sui seggi. Gli sperimentatori di Facebook determinarono così chei messaggi erano uno strumento efficace di tuning in scala del comportamento, visto che “influenzava direttamente l’espressione politica del sé, la ricerca di informazioni e il voto reale di milioni di persone”, e conclusero che “mostrare dei volti familiari agli utenti può accrescere in modo spettacolare l’efficacia di un messaggio rivolto a mobilitare la gente”. Il team calcolò che i messaggi manipolati avevano mandato 60.000 votanti in più alle elezioni di medio termine del 2010, più 280.000 che erano andati a votare per “contagio sociale”, per un totale di 340.000 voti in più. Nelle conclusioni, i ricercatori asserivano di “aver dimostrato l’importanza dell’influenza sociale nella modifica dei comportamenti. […] I risultati suggeriscono che i messaggi online possono influenzare una vasta gamma di comportamenti offline, con implicazioni per la nostra comprensione del ruolo dei social media nella società”.

Zuboff, Shoshana. Il capitalismo della sorveglianza: Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (Italian Edition) (pp.325-326). Edizione del Kindle.

TUTELIAMO ASSANGE CHE DIFFONDE SEGRETI, È UNA QUESTIONE DI DEMOCRAZIA (di Vladimiro Zagrebelsky, da “La Stampa”, 17 luglio 2022)

   La pretesa del Potere (politico o economico) di poter agire in segreto annulla il diritto alla conoscenza, che è fondamentale nelle società democratiche.

   Il quotidiano britannico The Guardian ha ricevuto migliaia di documenti e comunicazioni interne dell’impresa americana Uber e li ha trasmessi all’Icij (International consortium of investigative journalists) che ne ha fatto oggetto di esame, per controllarne l’autenticità e ricostruirne il significato.

   Anche questa volta, come in passato, ad esempio per i Panama Papers che rivelarono la realtà di enormi evasioni fiscali, non pare sia in discussione la genuinità dei documenti. Essi rivelano attività degli amministratori di Uber negli anni tra il 2013 e il 2017. Non importa qui valutarne la compatibilità con le leggi in vigore nei vari Stati in cui si sono svolte.

   Importa invece che si tratta di documenti, che si voleva rimanessero segreti perché altamente imbarazzanti sia per quella impresa, sia per i lobbisti che agivano nel suo interesse, sia soprattutto per gli interlocutori politici, governativi, parlamentari che venivano raggiunti. The Guardian e Le Monde hanno cominciato a pubblicare parte di quei documenti, inquadrandoli nel contesto in cui vanno inseriti, che ne spiega l’alto interesse per l’opinione pubblica.

   Così, ad esempio, emerge che Emanuel Macron, allora ministro dell’economia, incontrava i vertici di allora di Uber e assicurava loro appoggio mentre il governo di cui faceva parte ne contrastava l’attività e affrontava la protesta dei taxisti contro la concorrenza della nuova forma di trasporto. Una legge per contenere l’attività di Uber in Francia era stata da poco approvata. Nulla di illecito probabilmente da parte del ministro Macron, ma il problema è quello della segretezza e del divario che essa copre tra la politica ufficiale e l’agire concreto, tra ciò che i cittadini conoscono e ciò che viene loro occultato.

   Non diverso, anche se molto più drammatico, è il caso della pubblicazione dei documenti americani da parte di WIKILEAKS di JULIAN ASSANGE. Si tratta di comunicazioni interne alla amministrazione americana, alle forze armate in IRAK e AFGANISTAN, a diverse ambasciate degli Stati Uniti nelle loro comunicazioni con il governo. Da quanto pubblicato emergono uccisioni di civili, abusi e violenze non fatti oggetto di indagine e punizione. Fatti tutti gravi ed evidentemente contrastanti con l’immagine ufficiale che veniva presentata di quelle guerre.

   Anche in questo caso la pubblicazione da parte di Assange ha rotto il segreto e ha portato a conoscenza fatti importanti per il dibattito pubblico. Da anni in Inghilterra si combatte una vicenda giudiziaria e politica che potrebbe condurre alla estradizione di Assange (nel frattempo da anni detenuto) verso gli Stati Uniti dove l’attende un gravissimo processo.

   La vicenda processuale sembra avvicinarsi all’epilogo, anche se è verosimile che vi sarà un ricorso alla Corte europea dei diritti umani, con possibile sospensione della esecuzione del trasferimento di Assange.  Conseguenti saranno le polemiche in Inghilterra, che da tempo minaccia di abbandonare la Convenzione europea. Insomma, la vicenda potrebbe avere sviluppi molto gravi anche per il SISTEMA EUROPEO DEI DIRITTI UMANI (che già ha visto l’espulsione della Russia, che ha privato il Consiglio d’Europa dell’ambizione di rappresentare tutta l’Europa nella difesa dei diritti fondamentali).

   La vicenda di Assange, la sua detenzione e possibile estradizione, ha un effetto grave su uno dei pilastri della libertà e democrazia di cui spesso facciamo vanto in Europa. Si tratta della libertà di informare l’opinione pubblica dei fatti di interesse per il dibattito pubblico.

   Inutile legare la democrazia alle elezioni di parlamenti e governi, se chi vota non conosce i fatti rilevanti ed è vittima quindi di disinformazione. Non si può negare la necessità del segreto imposto su certe vicende, per il tempo necessario.

   Ma sia i documenti pubblicati da Assange, che quelli relativi a Uber in via di pubblicazione hanno un alto contenuto di portata politica e la loro segretezza ha comunque esaurito ogni potenziale giustificazione, se non quella del segreto per il segreto.

   La pretesa del Potere (non solo quello pubblico) di poter agire in segreto annulla il diritto alla conoscenza che è fondamentale nelle società democratiche. Perché il segreto non sia impropriamente utilizzato è indispensabile l’opera del giornalismo di investigazione. Essa lavora per forzare i segreti. La persecuzione di Assange ha già l’effetto di ammonire e impaurire i giornalisti.

   Certo il giornalista è soggetto a doveri e responsabilità. Ma l’incertezza sulla tenuta del segreto in futuro ha il positivo effetto di trattenere dal commettere nefandezze o comunque azioni onestamente indifendibili. Se, come si usa dire in Occidente, la stampa è il cane da guardia della democrazia, occorre proteggere coloro che, per informare, violano i segreti che riguardano fondamentali aspetti della vita pubblica. Non si protegge la democrazia pubblicando solo ciò che è già noto, ciò che il Potere crede utile comunicare, ciò che è compiacente o irrilevante. (VLADIMIRO ZAGREBELSKY)

A KIEV I CORPI CIVILI DI PACE ACCANTO ALLA RESISTENZA (di MARCO BENTIVOGLI, dal quotidiano “DOMANI”, 11/7/2022)

L’INIZIATIVA DELLA SOCIETÀ CIVILE

– Alle 8.30 di domenica superiamo, a piedi, il confine intasato da lunghe file di camion tra la Polonia e l’Ucraina. Dopo altre 10 ore di pullman si arriva a Kiev circondati da un’atmosfera spettrale, tra le fabbriche e le case, persino un ospedale pediatrico, bombardati.

– Arrivati nella sala conferenze, con il vice sindaco di Kiev, ci colleghiamo con venti piazze in Italia, mettiamo insieme ucraini, italiani, russi in aperto dissenso con Putin.

– Il Mean (Movimento europeo di azione nonviolenta) è nato federando 35 associazioni, sull’idea di fondo di Alex Langer dei corpi civili di pace: se si vuole un processo di pace veramente irreversibile, bisogna costruirla edificando comunità prevenendo e risolvendo conflitti.

………

   Arrivati nella sala conferenze, con il vice sindaco di Kiev, ci colleghiamo con venti piazze in Italia, mettiamo insieme ucraini, italiani, russi in aperto dissenso con Putin.

   Alle 23 inizia il coprifuoco e mentre ci si organizza per la notte, alle 23.45, alcuni sentono la sirena antiaerea, altri ricevono notifiche della App, che il governo ucraino invita a scaricare per le segnalazioni degli allarmi aerei o missilistici. Nei telefoni lampeggia: «Air Alarm, don’t leave the shelter». Si scende nel rifugio sotterraneo fino a che la stessa app, due ore dopo, avviserà del cessato allarme.

   Pensiamo a chi vive così dal 24 febbraio, a chi ha perso tutto. Eppure ci dimentichiamo troppo facilmente della guerra. Un anno fa l’Afghanistan, la frottola dei “talebani moderati” e l’immagine delle persone attaccate alla fusoliera degli aerei che tentavano di evacuare il paese. E ora, dopo sei mesi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’attenzione mediatica inizia a lasciare posto ad una lunga campagna elettorale.  Mesi in cui è emerso un giornalismo di alto livello accanto al peggiore mai visto.

   Non tutti sono strumento della disinformazione di Putin, gran parte della politica e dell’informazione hanno un problema di formazione, di etica, di cultura, sono sommerse dalle ondate di opinionismo. Pensieri banali, polarizzati: “Pacifisti” contro “guerrafondai”, “la Nato contro la Russia”. Per questo, il buonsenso, il coraggio, le idee sono sempre più fuori posto. Per questo alcuni ancora faticano a comprendere la nostra iniziativa di domenica 10 luglio.

   Un’iniziativa nonviolenta che non solo non condanna ma comprende e accoglie le ragioni della resistenza ucraina. I costruttori di pace, i “pacifisti concreti” come ha detto Luigi Manconi, l’iniziativa, difendono l’autodeterminazione dei popoli senza intermittenza.

   La costruzione della pace non si può lasciare ai “neutralisti” o ai furbetti “complessisti” e non può essere delegata interamente a nessuno governo. Può e deve, diventare un processo, realmente irreversibile, se entrano in campo i cittadini, le persone, la nostra capacità di ricostruire legami di comunità. Anche per questo, abbiamo voluto fare tutti questi 3000 km, perché la rimozione, l’assuefazione, il fastidio per la resistenza ucraina, la rimozione della guerra, ci fa sentire a disagio.

   Le due domande più banali e opposte: «Perché non andate a Mosca?» o «i pacifisti che sostengono la resistenza armata non sono credibili».

   Per i polemisti da social è arduo comprendere le ragioni per cui 130 attivisti, 60 italiani e 70 ucraini, hanno costruito, per mesi, relazioni con l’umiltà di ascoltare.

   Il Mean (Movimento europeo di azione nonviolenta) è nato federando 35 associazioni, sull’idea di fondo di Alex Langer dei corpi civili di pace: se si vuole un processo di pace veramente irreversibile, bisogna costruirla edificando comunità prevenendo e risolvendo conflitti.  E quando la guerra si manifesta è imprudente limitarsi a commentare.

   Emmanuel Mounier condannava il desiderio di una «pace che sa di resa». Solo il cinismo fabbricato da tv show ormai sequestrati dal narcisismo senile può chiedere agli ucraini di arrendersi e all’Europa di accettare che si modifichino i confini degli stati con le armi.

   Personalmente sono qui anche perché mi trovo a disagio in un paese in cui c’è ancora chi dice che a Bucha c’erano degli attori, che a Kharkiv gli ucraini si sono bombardati da soli.

   L’iniziativa è stata costruita, decisa e realizzata in ascolto con la società civile ucraina. Ieri il sindaco di Kiev e il nunzio apostolico hanno affermato che bisogna fermare l‘invasione ma che è il momento di pensare al futuro che non esiste se non si costruisce la pace.

   Il nostro obiettivo è proprio questo, costruire uno spazio sociale comunitario concreto. La pace e l’Europa non sono due bandierine astratte. Ma processi culturali, politici, umani da edificare e custodire ogni giorno.  La politica estera non può non essere matrice di una politica interna ad essa coerente. Nulla può accadere senza la restituzione del diritto a costruire un futuro migliore alle persone.

   Per questo era utile esserci perché agli impresari dell’indignazione ci stanno rendendo rassegnati. Perché è il momento del coraggio e della perseveranza, proprio come diceva Alex Langer: non siate tristi, continuate in ciò che era giusto. (MARCO BENTIVOGLI, 11/7/2022, da https://www.editorialedomani.it/)

LE DUE GUERRE DI PUTIN (di Ezio Mauro, da “la Repubblica” del 11/7/2022)

   Dunque le guerre sono due. Una combattuta sul campo in Ucraina, l’altra sospesa, non guerreggiata e tuttavia dichiarata, anzi ormai introiettata nella coscienza dei popoli. È il conflitto tra la Russia e l’Ovest che Putin ha messo al centro del suo ultimo discorso con i leader della Duma, creando una nuova immagine dell’eterno nemico: «l’Occidente collettivo», accusato di cercare lo scontro per contenere il Cremlino. E indebolire la sua guida, «seminando discordia, devastando la società e demoralizzando le persone», e infine impegnato a «combattere fino all’ultimo ucraino per battere la Russia sul campo di battaglia. Ci provino».

   L’Ucraina, con i suoi morti e la sua resistenza sotto i bombardamenti, gli assedi e le città distrutte, per Mosca è soltanto il teatro dello scontro militare su una sovranità trasformata in possesso. Un altro scontro è al centro dell’interpretazione putiniana della guerra e della rappresentazione che ne fa ogni giorno il Cremlino. È la perenne battaglia per l’egemonia tra le due Europe, che oggi vede la Russia in campo contro i suoi tre fantasmi perenni: la sirena politica della Ue, la minaccia armata della Nato e quindi dell’America, l’insidia culturale dell’Occidente.

   Nel vecchio mondo, prima dell’invasione russa di febbraio, la democrazia, l’ideologia e l’ipocrisia avevano costruito un sistema di convivenza basato sulla deterrenza, sull’eredità di Jalta e sulla convenienza, assegnandosi reciprocamente un ruolo e rispettandolo anche nei momenti di maggior tensione tra gli Stati. L’Est e l’Ovest sapevano di essere concorrenti, avversari ma anche partner, con voce in capitolo nelle questioni più rilevanti. Questo schema ha retto per quasi mezzo secolo nella lunga stagione della Guerra Fredda, quando la leadership internazionale era divisa in due, ed è rimasto in piedi per inerzia anche nei trent’anni senza nome che abbiamo attraversato dopo il terremoto seguito al crollo del muro di Berlino, con la mappa d’Europa completamente cambiata.

   Oggi quei tre elementi si separano definitivamente, prendendo ognuno la sua strada, come se non potessero più convivere dopo l’ingresso dei tank russi in Ucraina e la criptoguerra mondiale che ne deriva. Il problema è che quel confronto-scontro perennemente alimentato e continuamente controllato garantiva l’ordine mondiale: fragile, sospettoso, armato e tuttavia custodito col concorso di tutti. La memoria e il lascito spaventoso della guerra agivano come un impulso a costruire meccanismi di regolazione preventiva dei conflitti, organismi internazionali di salvaguardia della legalità nei rapporti tra gli Stati, strutture sovranazionali di arbitrato e di garanzia per l’esercizio del diritto internazionale.

   Il titanismo istituzionale dei padri ha inseguito fino a ieri l’utopia politica di un mondo più sicuro per i figli. La terribile geografia europea, capace di incubare due guerre mondiali dentro i suoi confini, veniva messa sotto tutela sia pure conflittuale, nell’interesse comune.

   Tutto era sospeso più che definitivo, affidato al pragmatismo della realpolitik piuttosto che alla condivisione di una teoria generale della convivenza. Ma se il dispotismo dell’Est europeo cercava in questo confronto negoziale con l’Ovest una sicurezza e un riconoscimento, la democrazia occidentale sperimentava l’universalità dei suoi valori, del suo metodo, dei suoi obiettivi: per l’Unione Sovietica la pace era una garanzia di stabilità interna e internazionale, una convenienza politica, mentre per l’Occidente era l’ambiente necessario per il dispiegarsi dei diritti e delle garanzie, una condizione indispensabile per la promessa di libertà e di giustizia, addirittura la prova dell’universale democratico, perché la democrazia ha bisogno della pace per esprimersi compiutamente.

   Il codice riconosciuto e accettato dell’ordine internazionale ha consentito di controllare le crisi, di gestire la convivenza nella diversità e nell’opposizione di due sistemi politici e culturali inevitabilmente antagonisti. È dunque stato uno strumento di governo del mondo, che ha affermato un principio democratico, la superiorità del diritto sulla forza. Si potrebbe dire che attraverso questo metodo e questa ricerca la democrazia ha finito per coincidere col punto di razionalità della politica: e anche chi non accettava i principi, le istituzioni e la pratica democratica, non poteva negare l’elemento razionale di questa proposta.

   Oggi questo computo razionale è saltato, è come se Mosca avesse inventato un altro sistema di calcolo unilaterale dei costi e dei benefici di ogni azione e, tirate le sue somme della partnership con l’Occidente, avesse deciso una secessione dalla logica comune, entrando in un’altra dimensione, soltanto sua: ritraendosi dall’osservanza universale delle norme giuridiche figlie della civiltà romana, ritornando a far prevalere lo scopo sulla regola, recuperando alla fine della storia la triade gloriosa degli inizi, cioè l’alleanza – santa come la Russia – tra l’autocrazia che impera, l’ortodossia che benedice e il popolo che si unisce in comunione obbediente al sovrano.

   In questo senso Vladimir Putin, protagonista di questo cambio di dimensione, è l’ultimo erede della potestà imperiale esercitata nel millennio dai sovrani guerrieri della Rus’, dai Gran Principi di Moscovia, dagli Zar, dai Segretari Generali del Pcus. Ma è anche il primo leader che decide di abitare nel mondo nuovo, colonizzandolo politicamente, rimettendo «l’idea russa» al centro dell’identità nazionale, separandola dall’Occidente nuovamente «marcio» come nella maledizione degli slavofili, recuperandole un posto privilegiato nella competizione per la supremazia, dando un nome e un ruolo agli avversari, costituendoli in nemici.

   Non solo. Poiché per Putin una storia universale non esiste ma è solo un inganno dell’Occidente per contrabbandare i suoi valori, bisogna rileggere le vicende del passato come espressioni di civiltà separate e distinte: per concludere che la Russia può solo adempiere alla sua missione universale e compiere il suo destino, cosciente di «non essere una nazione ma un mondo intero», mentre il suo popolo, come certifica Dostoevskij «è l’unico portatore di Dio».

   Si capisce a questo punto che di fronte a questa interpretazione metafisica della politica e a questo esercizio messianico del potere, le armi tradizionali della diplomazia risultino spuntate: per un negoziato bisognerà inventarne di nuove. Solo la guerra è uguale a se stessa. E la vera paura di Putin, man mano che la resistenza continua, è di rimanere intrappolato nella terra sospesa di nessuno, tra il vecchio mondo che ha abbandonato e il nuovo che non si lascia conquistare. (EZIO MAURO)

RICETTA SEMPLICE PER SALVARE LA DEMOCRAZIA (di GRAZIA BARONI)

Torino, 24 giugno 2022

   La democrazia si salva sviluppando la consapevolezza del valore della cittadinanza e creando una realtà politica di levatura e qualità adeguate alla realtà del terzo millennio con dimensioni mondiali e universali.

   Le recenti tornate elettorali dei singoli Stati europei denunciano una ormai indiscutibile fragilità dei loro governi, ma soprattutto, cosa più grave, il costante aumento della distanza tra le necessità delle cittadinanze dai loro rispettivi referenti politici; inoltre fanno risaltare il sentimento di inutilità e impotenza che gli elettori provano nell’esercitare il loro diritto, perché sempre più male interpretato o non considerato dalle classi dirigenti.

   Si è anche verificato un costante aumento di preferenze a sostegno dei partiti conservatori, se non addirittura una preoccupante affermazione di quelli di estrema destra, in Spagna, Germania e Francia. Inoltre, in Italia e in Francia si è abbassata la percentuale dei votanti, segno evidente della sfiducia ormai maggioritaria nella capacità della classe politica di rappresentare la volontà degli elettori unito al desiderio di una guida sicura in un mondo politico sempre più intricato.

   La mancanza di partecipazione non è espressione di una sfiducia nella democrazia come qualità istituzionale e di governo, ma piuttosto una denuncia verso la classe politica che non rispetta il suo ruolo istituzionale di rappresentanza, vuoi per incapacità o per malafede, e che non tiene in conto le necessità sempre più impellenti degli elettori nei programmi dei partiti.

   L’elettorato non si è presentato alle urne perché nelle proposte presentate in campagna elettorale non ce n’era nessuna che riguardasse i loro veri interessi: non c’era nessun programma che abbia raccolto le preoccupazioni sul cambiamento del clima, denunciate in modo fortissimo dalle nuove generazioni, ma che preoccupano ormai tutti; nessun piano per valorizzare la risorsa costituita dai giovani lavoratori, che oggi si trovano a dover emigrare affinché la qualità della loro preparazione scientifica e culturale possa trovare spazio di sviluppo nei vari ambiti di ricerca sia universitaria che nella produzione.

   Le segreterie dei partiti sembrano prediligere il clientelismo elettorale piuttosto che promuovere una politica di rinnovamento della società che sia capace di riconoscere alle nuove generazioni il fatto di essere il motivo per cui esistono le istituzioni, il senso per cui esiste lo stato civile, in quanto incarnano il futuro di tutti noi.

   Gli elettori non si sentono né riconosciuti né tutelati come elettori, né come cittadini e come espressione di una storia comune; questo è particolarmente evidente in relazione alle varie eccellenze della tradizione artigianale italiana, come i vetri di Murano o l’eccellenza in liuteria, oppure quelle del patrimonio culturale e musicale dalla lirica al teatro, solo per citare qualche esempio, che sono riconosciute e valorizzate da tutto il mondo tranne che dalle politiche italiane.

   I partiti hanno senso se svolgono il loro ruolo che è quello di partecipare alla costruzione di un governo democratico, se invece il loro interesse è focalizzato sul consolidare o aumentare il peso del partito all’interno degli equilibri parlamentari, il loro ruolo di rappresentanza dei cittadini è annullato, perché rappresentano solo se stessi e il proprio potere.

   Quindi, in questo momento storico, la classe politica che volesse restituire dignità alla propria funzione, dovrebbe proporre come progetto politico la costruzione dell’Unione europea come Stato sovrano repubblicano e democratico. Infatti, oggi per poter governare e indirizzare la società le decisioni vanno prese almeno a livello continentale e con un’attenzione al panorama mondiale.

   Per esempio, nella dimensione finanziaria si può reggere una propria politica solo a livello europeo, non certo a livello nazionale, perché può reggere il confronto con Stati Uniti, Cina o India. Che cosa hanno paura di perdere le singole classi dirigenti nella realizzazione dello Stato europeo? Hanno già perso tutto: perché non c’è più nessun governo tra gli Stati europei che singolarmente riesca a tassare i proprietari di una qualsiasi multinazionale, oppure che riesca a contrattare il prezzo dell’energia, oppure che possa contrastare l’aggressione di un dittatore o di una pandemia.

   Il primo che si farà garante della costruzione dell’Unione Europea sarà quello che riuscirà a esercitare i poteri che oggi ha paura di perdere, ma che non ha già più. Le attuali classi dirigenti degli Stati europei si sono private della possibilità di svolgere la loro funzione di condottieri verso un possibile futuro, perché hanno usato l’Europa per scaricare le proprie insufficienze governative, condizioni inevitabili e ovvie in questo momento storico perché legati a modelli ottocenteschi in una realtà di terzo millennio.

   E non solo, quando hanno sottratto alla scuola, ai servizi culturali e all’Università risorse economiche e le prospettive di sviluppo e di ricerca, hanno ridotto e impoverito i cittadini degli strumenti che danno la possibilità di comprendere e poter scegliere come migliorare la propria e comune realtà. In questo modo hanno rinunciato alla possibilità di contare su un elettorato consapevole, capace di sostenere le loro proposte. Questa scelta è stata fatta non per un disegno maligno di suprematismo, ma perché queste risorse erano necessarie a coprire l’inettitudine governativa, aggravata da pusillanimità nelle scelte, e anche perché è facile sottrarre risorse all’ambito culturale in quanto non rappresenta una rendita elettorale immediata.

   Quindi, come classe dirigente si sono negati lo spazio per indicare un progetto di possibile futuro degno delle aspettative di una cittadinanza sempre più consapevole di sé ma impreparata a definire le proprie aspirazioni, che perciò riesce solo a rispondere e seguire pedissequamente chi in quel momento si pone come pifferaio magico in cerca di mero protagonismo con slogan velleitari attraenti emotivamente.

   Si dovrebbero, invece, investire risorse per aggiornare le varie componenti della scuola, prima di tutto gli insegnanti, affinché siano adeguatamente pronti a svolgere questo servizio indispensabile per rispondere al livello di civiltà acquisito. Quindi i politici che volessero svolgere questo servizio, come programma di governo, dovrebbero cercare il massimo delle risorse possibili da dedicare ad una scuola finalizzata allo sviluppo della creatività personale di ogni studente, unico vero baluardo in grado di fronteggiare le sfide del terzo millennio.

   Come abbiamo potuto intuire dalle recenti avvisaglie, la caratteristica del futuro è la sua totale imprevedibilità, perché riguarda le visioni, le aspettative e i sogni delle persone, perché è nella possibilità di realizzare il proprio e comune futuro che la vita di ciascuno prende senso. In secondo luogo, i politici che hanno a cuore la democrazia e prendono sul serio la necessità di governare, di indirizzare ad un traguardo costruttivo le società, dovrebbero spendere tutte le loro energie per alzare il tiro e perché le prossime elezioni europee siano finalizzate a eleggere un parlamento costituente, che scriva la costituzione dell’Unione europea entro l’anno della sua elezione.

   Quindi, la campagna elettorale dovrebbe spingere la cittadinanza a esprimere a quale progetto di unione europea voglia portare il proprio contributo, fornendo tutti gli spazi e le risorse possibili e necessarie a raggiungere questo obbiettivo. Bisogna sempre ricordarsi che la democrazia si fonda sull’esercizio della libertà personale perché si realizzi il progetto comune di convivenza pacifica. Per difendere la democrazia bisogna condividerla con un sempre maggior numero di persone e qualificarla sempre di più con l’esercizio; perché la finalità della democrazia è il raggiungimento di una pace universale per una vita di piena soddisfazione, fino al raggiungimento della felicità comune. (GRAZIA BARONI)

L’UNIONE EUROPEA, impegnata a sostenere l’Ucraina nella guerra contro l’invasione russa, ha la necessità di RIFORMARE I PROPRI TRATTATI, in particolare con la modifica del voto all’unanimità: un obiettivo per le iniziative degli europeisti

Lo STRASBOURG SUMMIT (dal 7 al 9 maggio 2022) è stato un grande appuntamento che ha visto federalisti europei riunirsi a Strasburgo negli ultimi giorni della CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPA. Sono state 3 giornate intense di eventi. Il culmine è stata la MARCIA PER L’EUROPA di sabato 7 dal centro di Strasburgo fino al Parlamento Europeo (un’immagine nella foto qui sopra)

Dalla NEWSLETTER del 28 Giugno 2022 del MFE – Movimento Federalista Europeo:

 

DOPO LE CONCLUSIONI DELLA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPA SI APRE LA BATTAGLIA PER LA RIFORMA DEI TRATTATI

   La Conferenza sul futuro dell’Europa che si è conclusa il 9 maggio ha avanzato proposte importanti con l’obiettivo di rendere l’UE più coesa e solidale, più democratica e più efficace nelle sue politiche e nell’azione, e più capace di far rispettare lo stato di diritto. Per questo ha elaborato proposte per migliorare e ampliare le politiche dell’UE in molti campi cruciali (dall’ambiente, alla salute, al lavoro e alle garanzie sociali, all’educazione e alle politiche giovanili, alle politiche migratorie, a quelle energetiche e a quelle legate alla posizione dell’UE nel mondo); e insieme per migliorare il suo funzionamento, sul piano della democrazia e della capacità di agire.

   Partendo proprio dal rapporto finale della CoFoE (link), il Parlamento europeo ha adottato in tempi rapidissimi una risoluzione (link sito MFE) in cui chiede di avviare una Convenzione europea in base all’art.48 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) per aprire la riforma dei Trattati – indicando una serie di punti su cui intervenire – e da parte sua la Commissione, nell’esaminare il pacchetto di proposte della CoFoE, si è impegnata a dar seguito a quelle che non richiedono riforme dei Trattati, e ha al tempo stesso confermato il suo sostegno alla possibilità di affrontarne la revisione dove necessario (link al post MFE).

   Nei giorni scorsi il Consiglio europeo si è riunito e ha preso, da un lato, la storica decisione di attribuire lo status di Paesi candidati alla Ucraina e alla Moldavia, mentre ha invece rimandato la decisione sulla richiesta del PE di aprire una Convenzione (qui il link al comunicato stampa dell’Unione dei federalisti Europei (UEF) dopo il Consiglio europeo). 

   Il tema della necessità di avviare la riforma dei Trattati era stato però ripreso dal Presidente Draghi nelle sue comunicazioni al Parlamento precedenti al Consiglio Europeo (link post MFE) ed è stato oggetto di un confronto informale dei leader politici dei Socialisti & Democratici e di Renew Europe. 

   La partita quindi è assolutamente aperta, soprattutto perché le nuove sfide che derivano dalla guerra di aggressione della Russia all’Ucraina non permettono all’UE di rimanere ferma ma impongono l’urgenza di modificare i suoi meccanismi decisionali, di accrescere le competenze che ormai è necessario governare a livello europeo – dalla politica energetica, alla difesa, alla politica estera, ecc. – e di dotarsi di una capacità fiscale comune per garantirsi strumenti efficaci di politica economica, per investimenti e meccanismi di stabilizzazione.

   La battaglia per dar vita ad un’Europa federale, sovrana e democratica è quindi entrata nel vivo. Come federalisti siamo determinati a far sì che gli Europei non perdano questa opportunità storica, da cui, come non mai, dipende il nostro futuro.

Luisa Trumellini
Segretaria nazionale MFE 

…….

vedi anche su questo blog:

MFE (Movimento Federalista Europeo) L’URGENZA DI DAR VITA A UN’EUROPA FEDERALE, SOVRANA E DEMOCRATICA (Proposte di riforma dei trattati)

…………………………

STRASBURGO: 7 maggio 2022, partecipanti alla delegazione veneta del MFE, in Place Kléber a sostegno della riforma dei trattati UE e dell’UCRAINA