“Una società prospera, inclusiva, resiliente, sicura e sostenibile che non lasci indietro nessuno”: è il contenuto e il senso del lungo documento che i ministri dell’ambiente e dell’energia dei grandi Paesi della Terra, riuniti dalla Presidenza italiana del G20 a Napoli il 22 e 23 luglio 2021, hanno sottoscritto.
Nei rilievi complessivi (il documento mette insieme temi divisivi come la transizione energetica, i cambiamenti climatici e la necessità di tenere la temperatura del Pianeta sotto il grado e mezzo) si rileva che non c’è accordo mondiale; e che i Paesi più ricchi (Usa, Unione Europea, Gran Bretagna, Canada, Giappone) magari ci credono (con qualche differenza nazionalistica interna) mentre gli altri in via di sviluppo (Cina, India, Russia, Brasile e paesi poveri africani e latino-americani, pur differenziandosi tra loro: l’aggressiva economia cinese ben diversa dai paesi africani…) hanno altre priorità (o non se lo possono permettere)
Si riconosce il problema indiscutibilmente, ma un conto è prendere decisioni dolorose (come eliminare l’uso delle fonti fossili, imporre sacrifici e riduzioni della richiesta energetica…).
Pertanto si sono ritrovati al G20 di Napoli paesi tra di loro molto distanti, non solo geograficamente. Alla fine, pare, che l’accordo che riunisce tutti è che sì, si procederà con il privilegiare le fonti energetiche rinnovabili, ma senza “proibire” le fonti fossili (in particolare il carbone), e che in ogni caso la scienza dovrà risolvere tutto.
Si capisce allora che si possono avere cambiamenti effettivi solo se sono convenienti socialmente e politicamente: la sostenibilità ambientale va coniugata insieme con una sostenibilità sociale. Che lo “sviluppo verde” ci potrà essere solo se creerà più posti di lavoro di quello tradizionale inquinante, se darà ricchezza, profitti ai privati e agli Stati.
Pensare di volere un mondo che frena il surriscaldamento e i disastri climatici, è un “vecchio” discorso che veniva fatto dagli ecologisti del Paesi ricchi già trent’anni fa (la prima Conferenza importante sull’ambiente quella di Rio del Janeiro è del 1992). A cui veniva risposto dai dirigenti dei Paesi in via di sviluppo e/o poveri: “Voi non volete che si tagli la foresta, ma voi l’avete fatto in Europa più di due secoli fa per il vostro sviluppo. Voi non volete che si inquini con combustibili fossili come carbone e petrolio, ma l’epoca di sviluppo delle materie prime carburanti fossili a nostra disposizione voi l’avete già vissuta e ne avete avuto i vantaggi…”.
Difficile individuare, anche alla luce delle più moderne tecnologie (l’idrogeno, auto elettriche e a minor consumo, impianti produttivi più sofisticati e risparmiosi di energia…) ora o prossimamente a disposizione, modi e metodi per un “riequilibrio sociale mondiale” da far condividere ai paesi in via di sviluppo che hanno livelli di consumo ben minori dei nostri (come sono i paesi africani, i latinoamericani, ma ancora Cina e India…). Lo faranno solo se sarà loro più conveniente socialmente al posto di usare come ora fanno materie inquinanti.
Pertanto il documento finale sottoscritto a Napoli nel G20, raccoglie tante affermazioni e idee condivise da tutti. Come pericolo del cambiamento climatico, e che la scienza deve dare risposte…. È da crederci (che si condividono queste cose): con le continue emergenze climatiche e disastri ambientali…trent’anni fa, e anche di più, erano solo previsioni (ahinoi azzeccate) di scienziati ed ecologisti non allineati al progresso buono ed illimitato. Segnali allora ed iniziative, premonitrici più che mai. Andiamo a memoria: il Club di Roma negli anni 60, poi il Rapporto Brundtland nel 1987, la campagna “nord sud” di Alexander Langer nel 1988, il Summit di Rio del 1992, il protocollo di Kyoto del 1997, le associazioni ambientaliste e verdi degli anni ‘90, i sindacalisti seringueiros brasiliani come Chico Mendes (ucciso nel 1988) a difesa della foresta amazzonica…
Pare poi che la Cina ci creda, alla crisi ambientale (pur allineandosi solo come principio) dal fatto che in queste settimane e mesi di ripresa veloce della produzione industriale dopo il blocco per la pandemia, stia subendo continui shock energetici: cioè blackout elettrici a ripetizione sulla rete industriale e urbana delle città; perché la richiesta di energia è superiore a quanto si riesce a produrre energeticamente (cose che accadono normalmente in India, ma in Cina non erano abituati…). Pertanto figuriamoci se Cina (e India) si impegnano ad eliminare il carbone e a non inquinare….
E poi va bene in Europa cercare di convincere la Polonia così ricca di carbone di ridurre quella fonte energetica così inquinante, ma non si dirà mai niente (crediamo) dell’energia fossile rappresentata dal gas sotterraneo naturale. Per questo la stessa Germania si è messa d’accordo con gli Stati Uniti di “poter accettare” il gasdotto russo “Nord Stream 2” così importante per il suo sviluppo industriale; nel contempo impegnandosi ad aiutare l’Ucraina ad evitare economicamente il ritorno nell’orbita russa…….. Se questo è il contesto che “tutti hanno le loro buone ragioni”, è assai difficile pretendere di più da paesi come quelli africani, poveri, in via di sviluppo, a volte li possiamo definire “emergenti”, che hanno consumi energetici pro capite molto inferiori ai nostri e che per tentare uno sviluppo possibile usano combustibili inquinanti… (nonostante siamo arrivati a un punto di non ritorno globale).
Qualcuno di quelli ecologisti premonitori di trent’anni fa ipotizzava allora che continuando così arriveremo a un governo mondiale dove a ciascuno verrà affidata (imposta) una tessera di emissione di anidride carbonica pro-capite oltre alla quale non è possibile andare, da utilizzare come meglio si vuole, e poi nulla più. Scenari apocalittici ma non tanto. Speriamo che non si arrivi a questo, e che scelte importanti e coraggiose (anche se dolorose) vengano concretamente prese. (s.m.)