DECIDERE O MENO DI ARMARE KYIV NON FA DI NOI DEI GUERRAFONDAI O DEI PACIFISTI (di Adriano Sofri, da “Il Foglio” del 19/3/2022)

– C’è una differenza tra “radicale” e “assoluto”, e torna utile ricordarla in relazione al rifiuto della guerra. L’assolutismo del rifiuto della forza, fino alle armi proporzionate, implica l’abbandono di un principio fondamentale come quello della legittima difesa –

   Vorrei indicare poche sommarie conclusioni della discussione fra me e la mia amica Lea Melandri. La guerra è una caccia all’uomo – alla donna. Ma alla questione che ponevo, se una divergenza finale sia resa inevitabile dal fatto che lei è una donna femminista e io un uomo, posso per il momento rispondere di no, e non è poco. Anche da un’altra confusione, la più moralmente e sentimentalmente impegnativa, possiamo sgombrare il campo: che rifiutare o accettare di armare chi si difende da un’aggressione implichi una differenza nell’avversione alla guerra. Nessuna persona decente può partecipare di una discussione in cui la si accusi di essere in favore della guerra, guerrafondaio, bellicista e così avanti: di non desiderare che la guerra sia espiantata dalla faccia della terra.

   Lea non dice solo di essere contro la guerra: a differenza di Gino Strada, per esempio (“non sono pacifista, sono contro la guerra”: con lui ebbi un dissenso incompiuto) Lea si dichiara “radicalmente  pacifista”. Riprenderei una differenza che era, mi pare, di Hannah Arendt, fra radicale e assoluto – lei la riferiva al male. Non per negare una radicalità alla convinzione di Lea, ma per segnalarne un’assolutezza, che le impedisce, o le risparmia, di misurarsi ogni volta di nuovo con la situazione concreta, con la sciagura che di volta in volta chiamiamo “guerra”. (E propongo intanto di mettere via la parola “interventista”, tanto più nell’opposizione “pacifista-interventista”. Sarebbe lecito usarla se significasse a sua volta un’assolutezza, se di fronte a ogni conflitto armato si rispondesse invocando un intervento militare).

   L’assolutezza, il senza se e senza ma, fissano un apriori: so già che cosa farò ogni volta che un conflitto rovini nel ricorso alle armi e agli eserciti, regolari o no. Lo so a Sarajevo, o a Srebrenica, dove i massacri degli inermi e delle loro città possono durare anni, quattro anni, denunciati solennemente e inanemente dalle Nazioni Unite, fino a che un intervento militare di 14 giorni (della Nato, allora, 1995) metta fine alla guerra. Lo so in Ruanda, dove si compie in 100 giorni un genocidio milionario a colpi di machete. E così via. L’assolutismo del rifiuto della forza, fino alle armi proporzionate, implica l’abbandono di un principio fondamentale come quello della legittima difesa. Che vale tanto quando la minaccia e l’aggressione prendono di mira una persona quanto nei confronti di comunità e stati. Si può, certo, rinunciare alla legittima difesa: Lev Tolstoj esortava a farlo predicando la non resistenza al male. Si può, è molto difficile per tutte e tutti, difficilissimo anche per Tolstoj. E’ ancora più difficile quando si debba rinunciare a difendere non se stessi, ma il proprio prossimo, più debole, più inerme, più prescelto dalla sopraffazione.

   Nel 2001 scrissi una “Lettera alle donne invisibili”, mi ha fatto impressione rileggerla. Nella inesauribile controversia su questi temi di cui partecipo da tanto, persuaso che non abbia un traguardo se non in provvisori compromessi, mi dico che una buona parte della differenza sta nell’essersi trovati nel luogo e nel tempo in cui occorreva mettersi in un posto. Nei luoghi e nei giorni in cui non si tratta più di prevenire la guerra, in cui la guerra è scoppiata e infuria e si tratta di farla finire. Leggo: “Sono contro tutte le guerre, sempre e comunque, e chiedo: Anche nel Sinjar, quando l’avanzata travolgente dell’armata dell’Isis sta afferrando bambini e donne yazide, per farne piccoli soldati invasati e schiave sessuali e domestiche, separandole dagli uomini, per umiliarli e fucilarli?”. Quella “guerra” è durata più di due anni. Ragazze e donne yazide, fra loro qualche scampata al rapimento e ai tormenti, e non di rado anche al rischio del ripudio delle famiglie, hanno preso le armi, nella loro terra, nel Kurdistan iracheno, o insieme alle sorelle del Rojava.  So che cosa avrei fatto – l’ho inadeguatamente fatto – se avessero chiesto di dar loro le armi. Succedeva lontano, ma non tanto. Vi ricordate che cosa ci diceva lo Stato islamico: “Conquisteremo Roma e le vostre donne”. Dicevano a noi, secondo loro. Da uomo a uomo.

   Che si decida, ciascuna e ciascuno, di dare o no le armi agli ucraini che le chiedono (io lo farei), è praticamente irrilevante. Non abbiamo armi, è solo un modo di fare i conti con un problema grave, e di accapigliarci. Non è nemmeno, in una situazione così tragicamente angosciosa, una vera discriminante. Non si rompono amicizie per questo, né cooperazioni: sono tante le cose giuste da fare insieme. In Ucraina non si può invocare una “polizia internazionale”, nemmeno la più parziale e supplente. E la lezione, vecchia ma rimossa e solo ora squadernata, è che la nozione stessa di polizia internazionale si dilegua quando un giocatore mette sul piatto la sua testata nucleare. Dunque si torna al punto: un’aggressione, una strenua (sbalorditiva) volontà di difendersi e resistere, un desiderio che le armi tacciano. Ognuna, ognuno, avrà riconosciuto i suoi, e non in una sola parte. (ADRIANO SOFRI, da “IL FOGLIO” del 19/3/2022)

RUSSIA E CINA UNITE PER UN NUOVO ORDINE MONDIALE (di STEFANO SPOLTORE)

(relazione di Stefano Spoltore all’Ufficio del Dibattito del Movimento Federalista Europeo -MFE- tenutosi a Genova il 2 e 3 aprile 2022)

   Nell’inverno del 2013 il governo di Kiev decise di non sottoscrivere l’Adesione alla UE e, allo stesso tempo, di avviare trattative con Mosca per siglare un accordo economico finanziario ritenuto più vantaggioso. Quella decisione creò una frattura in seno al Paese tra i sostenitori dell’Adesione alla UE e i sostenitori di un accordo con la Russia. La ricca regione del Donbass, a maggioranza etnica russa, proclamò a quel punto la propria indipendenza con il pieno sostegno della Russia. Ebbe così inizio una guerra mai dichiarata apertamente tra l’esercito regolare di Kiev e quello separatista che in otto anni di guerra ha visto morire oltre 14.000 persone, per lo più civili, e un esodo dalla regione di oltre 1.500.000 cittadini di cui circa 900.000 diretti verso la Russia. La successiva decisione della Russia nel 2014 di riportare la Crimea entro i propri confini tramite un referendum aggravò ulteriormente la crisi con l’Ucraina e con il mondo occidentale. Vennero allora imposte alla Russia una serie di sanzioni economiche e finanziare proposte dal governo USA (all’epoca era Presidente Obama) con l’appoggio dell’Unione Europea.

   La crisi Ucraina si è riaccesa drammaticamente nel gennaio del 2022 dal momento che la Russia intende contrastare con ogni mezzo il possibile ingresso di quel Paese nel novero delle nazioni Nato. Contrastare l’allargamento della Nato ai Paesi un tempo alleati o satelliti dell’URSS è una questione considerata vitale nell’ottica di Mosca (1). In questi ultimi anni le richieste di adesione alla Nato sono state prospettate da parte degli USA ai governi di Moldavia e Georgia, altre richieste di adesione sono pervenute direttamente da alcune nazioni, la più recente proprio da parte della Ucraina. Si tratta di nazioni che erano parte integrante del territorio dell’URSS. Non va poi dimenticato che anche la Finlandia (nazione da sempre dichiaratasi neutrale) sta valutando di presentare la richiesta al governo di Washington (2) per diventarne membro. Queste ulteriori adesioni porrebbero le truppe e le basi della Nato direttamente a ridosso dei confini della Russia che non potrebbe più contare sulla presenza di Stati cuscinetto che, nella logica di Mosca, devono rappresentare un limite invalicabile dalla fine della Seconda Guerra Mondiale (o Guerra Patriottica come invece viene definita in Russia e prima ancora nell’URSS). Quel limite era già stato violato nel 2004 con l’adesione alla Nato di Estonia e Lettonia, ma in quegli anni a Mosca, Putin stava ancora definendo l’assetto del Paese e in politica estera il Paese risultava indebolito dopo oltre un decennio di profonda crisi interna.

   Gli anni successivi al dissolvimento dell’URSS erano stati i più tormentati e l’assetto con i nuovi equilibri di potere interni avevano avuto la prevalenza su qualsiasi altra questione. Furono necessari oltre dieci anni per ridefinire i confini della nuova Russia dopo la frammentazione del suo territorio che vide la nascita di tredici nuove Repubbliche indipendenti con le quali disegnare i confini, definire la spartizione del tesoro della Banca Centrale, dell’arsenale atomico e degli armamenti, nonché contrastare tentativi di colpo di Stato o sedare nel sangue ulteriori tentativi secessionisti nel Caucaso. Tutte questioni che si sovrapponevano alla lotta intestina a Mosca per la conquista del potere che, dopo l’uscita di scena di Gorbaciov, l’ascesa e caduta di Eltsin vide prevalere la figura di Vladimir Putin.

   Quando si aprì la crisi ucraina nel 2013 la situazione interna russa si era stabilizzata e il governo di Mosca poteva tornare ad esercitare la propria politica estera con ritrovata autorevolezza. L’assetto di potere era ora ben definito. Mosca rispose alle sanzioni occidentali avviando intese sempre più strette e vincolanti con la Cina in campo economico, energetico e militare, cosa impensabile sino a pochi anni prima.

   Il quadro internazionale era mutato in modo radicale. Gli anni di difficoltà della Russia erano coincisi con l’ascesa a potenza economica della Cina che esercitava ed esercita ancor di più oggi, una grande influenza politica e militare in vaste regioni dell’Asia e dell’Africa. La delocalizzazione in Cina di molte attività industriali da parte degli occidentali, nel tempo, l’hanno resa una potenza in grado di determinare la produzione di intere linee di prodotti per il mondo intero. Alla forza militare di cui dispone, la Cina può così far pesare anche la propria capacità industriale sino al punto di poter condurre guerre economiche riducendo (o aumentando a seconda dei propri interessi) la vendita ed esportazione di alcuni beni per esempio nel settore auto, vitale per l’industria europea o nel settore dell’informatica.

Verso un nuovo equilibrio: Russia e Cina alleate in politica estera

La instabilità politica derivante dalla dissoluzione dell’URSS negli anni ’90, indusse la Cina a promuovere nel 1996 una Organizzazione per la Cooperazione (detta di Shangai o SCO) che coinvolgesse la Russia e alcune delle giovani repubbliche ex sovietiche con cui condivide i confini: Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan. L’obiettivo principale della Organizzazione era quello di favorire la cooperazione in campo economico, politico e militare per contrastare il separatismo e il terrorismo in Asia Centrale. Negli anni l’Organizzazione, che tra l’altro ha l’obiettivo di mediare eventuali contrasti tra le nazioni che ne fanno parte, si è ampliata e vi hanno aderito anche Uzbekistan, India e Pakistan (3).

   L’Organizzazione ebbe l’effetto di aprire un nuovo canale di comunicazione diretto tra Pechino e Mosca. Il desiderio principale della Cina era quello di garantire unità territoriale ai propri confini per evitare spinte separatiste a carattere politico, etnico o religioso (oltre a quello storico nel Tibet) dopo quanto era accaduto in Russia. Si trattava di un desiderio che Mosca condivideva pienamente.

   Negli stessi anni gli Stati Uniti assumevano una leadership a livello mondiale, ponendoli però spesso in gravi difficoltà dovendo operare, militarmente, dal Medio Oriente all’Africa e persino in Europa nella ex Jugoslavia. Non è questa la sede per rievocare i numerosi focolai di tensione sorti negli anni di fine secolo XX° e agli inizi del nuovo, ma mentre gli Stati Uniti cercavano di agire in tutti gli scenari con gli europei in alcuni casi al seguito, la Russia si avviava a stabilizzarsi al proprio interno e la Cina diventava una potenza economica garantendosi l’ingresso nel WTO nel 2001 e avviando allo stesso tempo un ampio progetto di rinnovamento delle forze armate.

   La Russia di Putin e la Cina erano ora pronte a condividere l’obiettivo di contrastare gli Stati Uniti come unica super potenza. Un contesto generale nel quale l’Unione Europea svolgeva un ruolo da spettatore o di passivo sostenitore delle scelte politiche USA o militari in ambito della Nato.

   La crisi in Ucraina consolidò l’intesa tra Mosca e Pechino che negli anni si è ampliata in campo militare senza che per questo fosse necessario la firma di un Trattato ad hoc. L’aiuto che la Cina garantì alla Russia in tutte le sedi internazionali nel sostenere le sue ragioni in Ucraina venne presto ricambiata. E di recente Pechino ha ribadito che l’allargamento della Nato all’Ucraina è una provocazione dell’Occidente che crea solo nuove tensioni, la stessa tesi sostenuta dalla Russia. Mosca da parte sua difende il diritto della Cina nel controllare gli atolli nelle acque del Mar Cinese Meridionale (4), ma, fatto ancor più rilevante per Pechino, Mosca sostiene il diritto di Pechino nel rivendicare la propria sovranità sull’isola di Taiwan e ad imporre la propria legislazione ad Hong Kong.

   La condivisione e il reciproco sostegno in politica estera tra Pechino e Mosca si sta manifestando in modo ancor più palese nel corso del 2022, ponendo il mondo Occidentale, e in particolare gli USA in grave difficoltà nel dover gestire fronti così impegnativi (Ucraina e Taiwan), avendo di fronte due potenze pronte a sostenersi. Le difficoltà degli Stati Uniti, già emerse sotto la presidenza Obama e aggravatesi con quella di Trump, sono accentuate dalla incapacità di agire da parte della Unione Europea vittima delle proprie debolezze: ha una forte dipendenza dalla Russia negli approvvigionamenti energetici; ha una forte dipendenza dalla Cina nella fornitura di prodotti industriali ad alto valore tecnologico. La mancanza di un potere europeo in grado di esprimere una propria politica estera e di difesa nonché una propria politica energetica ed industriale la pongono dinanzi alla propria fragilità ed inconsistenza ad agire per essere credibile. Questa inconsistenza vede la UE nella condizione di sostenere le scelte politiche degli USA seppur in modo refrattario e spesso in modo confuso e contraddittorio (5).

   Stati Uniti e UE evidenziano pertanto le proprie difficoltà dinanzi alla coincidenza di interessi che legano Russia e Cina. Se la UE ai propri confini non è in grado di gestire in modo autonomo il confronto-scontro in atto in Ucraina da ben nove anni e ricorrono alla Nato per tutelarsi, gli Stati Uniti sembrano ancor più in difficoltà nelle acque del Pacifico, segnatamente nel tratto del Mar Cinese. Mentre in Europa sono aperti dei canali diplomatici per evitare il precipitare della crisi in una guerra aperta, nell’area del Pacifico la Cina ha lanciato una sfida ben precisa e senza appello: Taiwan deve rientrare a pieno titolo sotto la sovranità di Pechino entro il 2050 (6).

   È dall’inizio della crisi ucraina che Russia e Cina conducono esercitazioni militari e navali in modo congiunto nelle acque di tutto il mondo. La prima volta fu nel 2015, nel Mar Mediterraneo, successivamente nel Mar Baltico, nel Mar del Giappone e nel Mar Cinese Meridionale (qui anche con truppe di marines per simulare la conquista di una isola). Infine, nel gennaio di quest’anno a navi della flotta russa e cinese si sono aggiunte navi della flotta dell’Iran a largo del Golfo di Oman (7) allarmando l’intero mondo arabo, e non solo, per le implicazioni che comporta questa collaborazione militare nel già difficile quadro della situazione medio orientale.

   Ma ancor di più: la Russia garantisce a militari e a ingegneri civili cinesi l’utilizzo delle proprie basi nell’area dell’Artico in previsione della costruzione di porti da condividere e per svolgere insieme trivellazioni nella ricerca di nuovi pozzi petroliferi o di gas (8). A seguito dello scioglimento dei ghiacci, le previsioni indicano che entro il 2050 le navi mercantili che dal Pacifico raggiungono i porti del Nord Europa potranno transitare lungo le coste artiche per sei mesi all’anno contro gli attuali tre. Questa via di navigazione diventerà pertanto sempre più strategica per la navigazione commerciale riducendo i costi e i tempi oggi necessari per il transito lungo il Canale di Panama. Controllare l’Artico e disporre di porti amici diverrà strategico non solo per lo sfruttamento delle sue ricchezze naturali, ma anche per il controllo dei traffici non solo mercantili (9). Si rinnova così la capacità delle due potenze di sviluppare strategie di lungo termine. Questa condivisione di interessi suscita grandi preoccupazioni negli USA poiché, nel caso la crisi in Europa e la crisi nel Pacifico dovessero deflagrare in contemporanea per una precisa intesa tra Mosca e Pechino, non sarebbero in grado di gestire due fronti in contemporanea. In particolare, sarebbe la crisi nel Pacifico, nelle acque del Mar Cinese Meridionale, a vedere gli USA sconfitti nonostante il possibile aiuto militare legato ai recenti accordi siglati in ambito QUAD (Usa, Giappone, Australia e India) o in ambito AUKUS (USA, Regno Unito e Australia).

   A prevedere una piena sconfitta e, di conseguenza, l’annessione di Taiwan alla Cina, è lo stesso Comando Strategico che lo ha ammesso in una audizione al Congresso degli Stati Uniti nell’aprile del 2021 (10).

   Taiwan rappresenta comunque la falsa coscienza del mondo intero. Solo 14 nazioni la riconoscono come Stato sovrano, il resto del mondo intrattiene solo rapporti commerciali (11). Vi è infatti un veto da parte del governo di Pechino che ha deciso di non intrattenere relazioni diplomatiche con gli Stati che rifiutano di riconoscere che la Cina Popolare è una e indivisibile e che Taiwan è solo una provincia ribelle. Al mondo manca il coraggio di riconoscere la legittimità ad esistere di Taiwan per timore di rompere i rapporti con Pechino e gli Stati Uniti, da questo punto di vista, hanno precise responsabilità allorché nel 1972 decisero di accettare il principio di “una sola Cina” su precisa richiesta di Pechino (all’epoca era Presidente R. Nixon).

   In Ucraina e lungo le coste di Taiwan si assiste a continue prove di forza da parte di Russia e Cina, nel tentativo, congiunto, di saggiare le reazioni dell’Occidente e di verificare la capacità di reazione. Non altrimenti si spiegano le continue esercitazioni navali congiunte o le continue violazioni dello spazio aereo di Taiwan da parte dei caccia cinesi (12). Il contesto nel Pacifico è ulteriormente complicato dalla instabilità nelle acque del Mar Giallo e del Mar del Giappone, per le continue minacce da parte della Corea del Nord il che ha indotto il Giappone, stretto alleato degli USA, a rileggere la propria carta costituzionale per consentire un aumento delle spese militari e prevedere la costruzione di portaerei (13). Si tratta di acque presidiate da importanti porti militari sia russi che cinesi.

Conclusione

Il mondo uscito dal crollo dell’URSS ha destabilizzato interi continenti e gli Stati Uniti si sono dimostrati incapaci di garantire da soli un nuovo ordine che garantisse pace e stabilità. In questa incapacità rientrano precise responsabilità anche da parte degli europei che non hanno saputo avviare una diversa politica di vicinato con la nascente nuova Russia. Gli Stati Uniti, assecondati dalla UE, hanno così continuato a percepire la Russia come un possibile nemico da contrastare. Anziché cogliere la novità derivante dal crollo del sistema sovietico, l’Occidente ha continuato ad agire per indebolire la Russia rafforzando la propria presenza ad est nell’ambito della Nato. Una grande occasione per favorire nuove relazioni tra la UE (allargatasi ai Paesi un tempo sotto l’influenza sovietica) e la Russia è andata così perduta. Ma d’altronde una UE senza un proprio governo e senza una propria politica estera come avrebbe potuto agire diversamente? Inoltre, l’allargamento della UE ad est poneva anche in evidenza le paure che queste nuove nazioni continuavano e continuano ad avere nei confronti della vicina potenza russa che per lungo tempo li aveva sottomessi. Da questo punto di vista l’ingresso nella UE garantiva loro un aiuto nello sviluppo delle loro economie e un consolidamento delle loro giovani democrazie, allo stesso tempo l’ingresso come membri della NATO dava garanzie in termini di sicurezza militare.

   Mentre questo scenario si andava costruendo in Europa, in Estremo Oriente emergeva la Cina come nuova potenza dapprima economica ed oggi anche militare. Sul piano economico, la mancanza di una politica industriale ed energetica, mostra oggi le contraddizioni e le debolezze della UE. La delocalizzazione di molte attività produttive pone la Cina nelle condizioni di utilizzare l’economia come uno strumento politico a tutti gli effetti, come ammesso dalla stessa Commissione europea (14) che evidenzia la dipendenza dell’Europa dalla Cina in settori strategici. Il sapere di essere deboli dovrebbe indurre pertanto i governi ad individuare soluzioni di prospettiva per evitare, come sta accadendo, di vedere l’industria europea in difficoltà negli approvvigionamenti sia di prodotti finiti che di materie prime indirizzate invece principalmente verso la Cina e le altre nazioni dell’Estremo Oriente che oggi, insieme, rappresentano il polmone industriale del mondo intero, a riconferma di come il commercio internazionale sia passato dall’area atlantica a quella del Pacifico.

   L’eterno dilemma del mondo alla ricerca di un equilibrio che contrasti le mire egemoniche vede oggi tre grandi potenze continentali confrontarsi in modo aperto: Stati Uniti, Russia e Cina ce lo ricordano ogni giorno. È altrettanto evidente come un continente risulti assente o comunque marginale ed è la stessa Commissione Europea a ricordarcelo così come i recenti interventi pubblici del Presidente Macron o del Cancelliere Scholz. Non resta, come recitava un antico detto latino, di passare dalle parole ai fatti compiendo scelte radicali che diano alla Unione Europea l’assetto federale di cui necessita per esercitare la propria sovranità.

   I prossimi mesi saranno pertanto decisivi alla luce delle decisioni che i Capi di governo, in sede di Consiglio Europeo, prenderanno sulla base delle proposte che i cittadini europei hanno formulato in seno alla Conferenza sul futuro dell’Europa. Alla Conferenza sono state presentate precise idee per abolire il diritto di veto, per garantire all’Unione un proprio potere fiscale e di bilancio, per dare maggiori poteri al Parlamento europeo nel definire le linee di una politica estera. Si tratta di questioni vitali per il futuro della Unione e per garantire un maggior equilibrio nella gestione dei problemi del mondo. (STEFANO SPOLTORE)

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  1. Sulla crisi Ucraina e sulla politica di Putin si veda di S. Spoltore L’Ucraina tra est e ovest, in Il Federalista, n. 1-2, 2014, pag. 87 e La sfida della Russia, in Il Federalista, n.1, 2018, pag.35
  2. Le richieste di adesione alla Nato devono essere presentate al governo degli USA che successivamente provvede ad inoltrarle al comando Nato a Bruxelles per essere approvate da tutti gli stati membri (occorre l’unanimità). La richiesta per il possibile ingresso della Finlandia nella Nato in: La Repubblica, 2 gennaio 2022
  3. Si veda: Il Kazakistan, la Russia e il nuovo grande gioco in Asia centrale, in Affari Internazionali, 14 gennaio 2022
  4. Si veda di S. Spoltore, L’Oceano della discordia, Il Federalista, n.3, 2015, pag.204
  5. Gli europei fuori gioco, Le Monde diplomatique il Manifesto, febbraio 2022
  6. Dichiarazioni al Congresso del Popolo di Xi Jinping. Agenzia AGI, 9 ottobre 2021; La Stampa, 9 ottobre 2021
  7. www.agcnews.eu, 20 gennaio 2022. Inoltre, la scorsa estata il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha visitato Teheran e successivamente Ankara per stringere accordi in campo energetico e militare.
  8. Patto Russia-Cina nel nome del gas, QN, 5 febbraio 2022. L’accordo economico siglato in occasione della apertura dei giochi olimpici di Pechino, oltre a rinnovare l’intesa nell’Artico, valido 25 anni, ha portato anche alla firma di un contratto di fornitura alla Cina, da parte della Russia di 100 milioni di tonnellate di petrolio in dieci anni attraverso il Kazakistan dove nel gennaio 2022 le truppe di Mosca sono intervenute per ristabilire l’ordine dopo che le proteste popolari avevano messo a rischio il governo amico filorusso.
  9. www.affariinternazionali.it, ottobre 2020 e Panorama Difesa, n.397, giugno 2020
  10. L’audizione è stata sostenuta dall’ammiraglio Charles Richard, comandante del Comando Strategico. Si veda Panorama Difesa, n.414, gennaio 2022
  11. I Paesi che riconoscono Taiwan come Stato sono: Belize, Città del Vaticano, Guatemala, Haiti, Isole Marshall, Nauru, Palau, Paraguay, Saint Kitts e Nevis, St.Lucia, St. Vincente, Granadine, Swatini e Tuvalu.
  12. Le incursioni extra territoriali da parte dei caccia cinesi erano state 380 nel 2020, salite a oltre 600 nel 2021.
  13. Il rinnovato concetto di potere navale in Asia, Panorama Difesa, n.400, ottobre 2020
  14.  Policy brief del 3 dicembre 2020 a cura di European Council on Foreign Relations

L’UNIONE EUROPEA E IL RITORNO DELLA GUERRA: L’URGENZA DI DAR VITA A UN’EUROPA FEDERALE, SOVRANA E DEMOCRATICA (la petizione del Movimento Federalista Europeo- MFE)

Da MFE

L’aggressione della Russia all’Ucraina apre un nuovo capitolo nella storia europea. Questa guerra brutale, mossa dalla volontà di impedire che i valori europei avanzino, è destinata a cambiare lo scenario in cui viviamo. Per questo l’Europa deve attrezzarsi, sotto tutti i punti di vista: economico, militare, ma soprattutto politico.

L’Europa deve guidare il mondo libero, e deve farlo non solo perché in questo momento il nemico e la guerra sono sul suo territorio, ma soprattutto perché ha un contributo superiore da offrire in termini di modello politico e sociale. Non sono però le nostre democrazie nazionali che possono fare la differenza, ma la forza del nostro processo di unificazione.

Questo processo è il vero nemico delle autocrazie, che si fondano sul nazionalismo aggressivo, sulla tirannia, sul disprezzo della vita umana e della libertà; ed è un processo che ormai deve completarsi, tornando alle radici del progetto dei Padri fondatori e del Manifesto di Ventotene. La minaccia è analoga a quella dei totalitarismi del secolo scorso, e allo stesso livello deve essere la risposta, realizzando finalmente le riforme per dar vita all’Europa federale.

La Conferenza sul futuro dell’Europa in questi mesi di lavoro ha coinvolto in un dibattito pubblico i cittadini che hanno espresso con chiarezza – sulla piattaforma digitale e nelle raccomandazioni dei panel – la loro richiesta per una forte democrazia europea, e per un’UE capace di agire con efficacia insieme ai suoi cittadini.

Ora che ci si appresta a tirare le somme e a formulare le conclusioni, chiediamo solo di rispettare l’impegno preso all’avvio della Conferenza: nessuna censura verso le raccomandazioni più radicali che sono state chiaramente condivise dai cittadini, ma presa d’atto e quindi sostegno alla proposta di aprire una Convenzione per discutere le riforme dei Trattati. Una Convenzione che non parte da zero, ma discute di come costruire un’Europa democratica, sovrana, capace di agire.

Questa petizione che vi chiediamo di firmare e di condividere con i vostri canali di comunicazione avanza questa richiesta all’Executive Board della CoFoE, con il duplice obiettivo di contrastare chi vorrebbe mettere il veto per fermare la volontà dei cittadini e di sostenere le forze pro-europee che vogliono rafforzare la democrazia europea.
La trovate a questo link: mfe.it/petizione.

(https://www.change.org/p/per-un-europa-federale-sovrana-e-democratica)

Aiutateci in questa battaglia: il tempo per fare l’Europa federale, sovrana e democratica è ora. Impegniamoci tutti per un’Europa libera e unita.
Movimento Federalista Europeo