Il Movimento Federalista Europeo: “il vero interesse dell’Italia e dell’Europa è la visione federalista di Luigi Einaudi, Altiero Spinelli, Alcide De Gasperi” (dalla Newsletter di ottobre 2022 del MFE)

Il parlamentare europeo e Presidente dell’Unione dei Federalisti europei, SANDRO GOZI (nella foto) è stato nominato presidente del Gruppo Spinelli al Parlamento Europeo

   Il nuovo Parlamento e il Governo appena insediato sotto la guida di Giorgia Meloni entrano in carica in un momento complesso per l’Italia e hanno di fronte sfide particolarmente difficili. Tuttavia, oltre a ricevere in eredità i risultati importanti conseguiti dal Governo uscente sia sul piano interno sia su quello internazionale, chi entra in carica oggi sa di poter contare anche sul sostegno dell’Europa, se saprà impegnarsi a livello europeo e capire che il vero interesse dell’Italia coincide con un’Europa unita e coesa.

   Per usare le parole di Draghi di venerdì scorso, durante la sua ultima conferenza stampa al termine del Consiglio europeo “L’Unione europea è fondamentale per la sicurezza, la stabilità, la prosperità degli Stati membri del continente e del mondo intero. L’Italia deve essere al centro del progetto europeo con la credibilità, l’autorevolezza, la determinazione che si addice a un grande Paese fondatore, quale siamo stati noi”.

(…)

   In una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo nessun Paese europeo può pensare di cavarsela da solo. Nessun Paese europeo è neppure effettivamente sovrano. Per questo il nazionalismo ci porta in un vicolo cieco, a maggior ragione man mano che i rapporti internazionali si fanno sempre più conflittuali e sulla scena mondiale si impongono le grandi potenze continentali.

   Viceversa, la reazione unitaria alla pandemia ha indicato la via giusta da seguire: vinciamo se sappiamo agire uniti e in modo solidale. La Conferenza sul futuro dell’Europa ha anche dimostrato che i cittadini sono favorevoli ad un’Europa più coesa e più efficace nell’agire politico, e ha identificato tante competenze che dovrebbero poter essere governate direttamente a livello europeo e alcune riforme istituzionali indispensabili perché il governo europeo possa essere democratico e vicino ai cittadini.

   Spetta ora al nuovo governo e al nuovo Parlamento, nell’interesse dei cittadini, diventare protagonisti di questa stagione di riforme europee, rilanciando innanzitutto il proprio sostegno alla proposta avanzata dal Parlamento europeo di avviare una Convenzione per la riforma dei Trattati per dare un seguito concreto alle richieste della Conferenza. Si tratta di una responsabilità che impegna l’intero arco delle forze politiche.

   Come dimostrano i contrasti che stanno dividendo gli Stati membri sulla gestione dell’emergenza energetica, è tempo che le decisioni su queste materie siano sottratte ai negoziati tra governi e siano affidate direttamente alle istituzioni che incarnano l’interesse generale europeo. Per restituire realmente la sovranità ai cittadini in molte materie serve che la possano esercitare direttamente a livello europeo. Analogamente, la solidarietà europea non deve essere ogni volta frutto di negoziati estenuanti, ma deve essere istituzionalizzata nel sistema comunitario.

   All’Unione europea serve innanzitutto una capacità di bilancio autonoma, indipendente dai contributi e dai bilanci degli Stati membri, e serve che le decisioni sulle materie di interesse comune siano prese insieme dal Parlamento europeo e dal Consiglio, senza possibilità di veti, a maggioranza, come in ogni democrazia. Solo così possono nascere anche una vera politica estera e di sicurezza comuni, una vera unione della difesa, una politica economica, energetica e industriale, e solo così si possono governare insieme le emergenze sanitarie, quelle ambientali, le politiche migratorie, lo sviluppo della ricerca e le politiche in generale che possono essere concepite e inquadrate in modo molto più efficace a livello europeo rispetto a quanto non si possa fare a livello nazionale.

   Il dibattito politico in Italia, anche durante la campagna elettorale, ha mostrato che è cresciuta nel Paese la consapevolezza della coincidenza del nostro interesse nazionale con quello di un’Europa più efficace e più democratica. Il risultato complessivo del voto indica un mandato chiaro al nuovo governo sotto questo profilo. I federalisti contano pertanto sul fatto che il nuovo esecutivo capisca la necessità di riconfermare il ruolo dell’Italia come Paese fondatore, a partire dall’asse con la Francia e la Germania per costruire il percorso verso un’Europa federale, e sono pronti a dare il loro contributo a sostegno di questa linea europea.

……..

Durante la campagna elettorale sono state raccolte 186 adesioni all’appello del MFE “Per un’Italia europea – Il destino inscindibile dell’Italia e dell’Europa”: 

Qui di seguito trovate l’elenco completo dei candidati alle elezioni che hanno firmato l’appello MFE.

LINK ALL’ELENCO DEI CANDIDATI FIRMATARI 

LINK ALL’APPELLO  

Di questi 186 candidati, sono stati eletti 26 tra deputati e senatori.

Il parlamentare europeo e Presidente dell’Unione dei Federalisti europei, SANDRO GOZI (nella foto) è stato nominato presidente del Gruppo Spinelli al Parlamento Europeo.

(testi tratti da https://www.mfe.it/ : Newsletter N° 34 | Ottobre 2022)

LA DIFFICILE UNITÀ NELL’EUROPA DELLE NAZIONI (di Adriana Cerretelli, da “il Sole 24ore del 15/10/2022) (nella forte crisi attuale un neo nazionalismo europeo sta ricompattando popoli e consensi?)

   Sommersa dalle divisioni, l’Europa non va da nessuna parte, si ripete. Nemmeno guerra ed emergenza climatica la distolgono dalla logica del galleggiamento.

   Eppur si muove.

   Tra i tanti autogol segnati da Putin con l’invasione dell’Ucraina e i sofferti travagli della Germania costretta a un ripensamento radicale del suo posto nel mondo, si colgono i primi vagiti di un timido nazionalismo europeo: l’ingrediente base finora mancato all’integrazione comunitaria piovuta quasi sempre dall’alto, il cemento impastato dal basso senza il quale l’ambizione dell’Unione politica resterà una chimera.

   Per ora il sentimento è confuso, contraddittorio ma sempre più consapevole – lo confermano i sondaggi   Eurobarometro – di fronte alle incertezze del grande alleato, l’America di Biden prossima a difficili Mid term, alla Cina antagonista di Xi verso la riconferma in piena bufera economica, e alle minacce energetiche e nucleari di una Russia con le spalle al muro.

   Sono passati otto mesi dal 24 febbraio: nell’incredulità generale, tra mugugni vari, danni economici e colpevoli temporeggiamenti, l’unità europea tiene e vara ben otto pacchetti di sanzioni contro Mosca.

   “Le sanzioni, soprattutto quelle energetiche e bancarie, stanno dissolvendo la capacità della Russia di finanziare la guerra”, dice un rapporto riservato di Bruxelles. Dal 45% l’import Ue di gas è crollato al 7,5% del totale. Dall’inizio della guerra alla fine di settembre l’Ue ha importato da Mosca energia per 100 miliardi di euro ma l’export russo si è dimezzato e ridotto del 30% in volume.

   Nonostante egoismi finanziari e resistenze tedesche sul price cap del gas, si rafforza il mercato Ue dell’energia. Né cede l’impegno alla solidarietà militare a Kiev, con l’eurodifesa che si fa lentamente strada. Sullo sfondo di un’Europa che rischia di pagare la crisi e i suoi abnormi costi sociali e industriali con la recessione, la Germania, travolta dalla geopolitica continentale impazzita, è costretta a cambiare pelle, modello economico e partner globali. A riscoprire il valore aggiunto dell’Europa e del suo mercato, di un europeismo attivo dopo la grande ubriacatura nazionalistica intrisa di un globalismo industrial-commerciale che ha mostrato tutti i suoi limiti. Ha cominciato con il Covid e il grande piano europeo di ripresa e resilienza di 750 miliardi, sarà presto obbligata a fare qualcosa di simile per non far saltare l’Unione sulla mina energetica o su un patto di stabilità troppo rigido, perché l’attuale non è un’emergenza che si può vincere da soli: contro Putin e contro i propri partner.

   Integrazione e solidarietà, il binomio che ha regalato mercato e moneta unica, torna dunque di grande attualità. E annacqua 27 sovranismi più o meno in armi, incoraggiando il neo nazionalismo europeo che ricompatta popoli e consensi nella crescente convinzione che, di fronte ai pericoli interni ed esterni, solo l’unione può fare la forza.

   “Ma come si può governare un paese, la Francia, che ha più di 200 varietà di formaggi?” si chiedeva il generale De Gaulle. Beh, l’Europa è ben peggio, ne ha a migliaia ma oggi a un autogoverno forte non può più dire di no.

(ADRIANA CERRETELLI, da “Il Sole 24ore” del 15/10/2022)

POLITICA E FUTURO (perché, per ridare fiducia alla politica, non cominciare dalla conoscenza, dalla formazione scolastica?) (di GRAZIA BARONI)

Torino, 6 ottobre 2022 – E’ stata una campagna elettorale desolante perché è emerso chiaramente il fatto che la politica ha perso le sue coordinate di senso, la propaganda dei partiti si è costruita sui difetti altrui anziché sui propri programmi. Nessun partito ha saputo proporre un progetto di futuro, l’unico progetto evidente è stato quello conservatore, quello che rassicura ribadendo lo status quo.

   Tali risultati mi hanno fatto riflettere sulla necessità di rifondare la politica: una riforma che guardi al futuro, una proposta di evoluzione della democrazia, deve rispondere alla sempre maggiore complessità del sociale, ad una umanità sempre più conscia di sé, ma ancora priva di una prospettiva comune, perché incapace di descriverla. Dare la prospettiva comune è il compito specifico del mondo della politica. Già dalla metà degli anni ’90, dopo la vicenda di “Mani Pulite”, in Italia si era resa evidente la necessità di questo rinnovamento, che non è stato fatto. Anziché proporre una strada italiana ed europea originale, si è preferito seguire un modello: quello che pareva vincente dopo la caduta del Muro di Berlino. Non si era capito che a portare alla fine della Guerra Fredda non era stata la forza economica del modello liberista, ma l’attrazione dei diritti delle persone, della libertà e della giustizia sociale, l’avversione per la dittatura, fosse del proletariato o di chiunque altro.

   Non si è capito che era una crisi conseguente a un’evoluzione culturale e sociale; si sono continuati a mantenere i vecchi riferimenti ideologici di destra e sinistra, a volte anche in malafede. Non si è avuta sufficiente fantasia per creare nuovi schemi di riferimento, si è preferito seguire modelli già presenti e dequalificanti come quelli del possedere e dell’apparire: si è scelto il superfluo invece del necessario.

   Questo sistema non funziona più per due motivi: il primo è che non è più possibile mantenerlo. Una società che spreca e usa una logica parassitaria non può per sua stessa natura durare a lungo. Il secondo è che non corrisponde al desiderio delle persone. Una maggiore consapevolezza della qualità della vita ha portato alla luce l’insoddisfazione dell’uomo che non può essere risolta dal consumare: il motivo per cui uno esiste è la qualità delle sue relazioni con gli altri e con il mondo.

   Il ruolo della politica deve essere sempre più l’arte di trovare, non già il compromesso, bensì il bene comune: l’arte di riconoscere e indicare il punto di convergenza di ogni visione del mondo. Questo si può fare solo se si ha una prospettiva aperta, che coinvolga e contempli l’intera umanità. Il punto di convergenza è che tutti tendono alla libertà e alla qualità della vita, il cui valore è la persona. Tutti, coscienti o no, concorrono al raggiungimento della felicità per quanto questo sia ancora per alcuni “il non patire la fame” o “la ricerca della libertà civile” mentre per altri è già “il qualificare sé e le relazioni”. I problemi che riguardano le risorse essenziali per la vita: aria, acqua e cibo, sarebbero tutti di semplice soluzione, se si volesse, perché non sono che questioni di distribuzione e di logistica: abbiamo gli strumenti e le conoscenze per realizzare un’equa distribuzione delle risorse. Il problema della libertà è una questione di volontà: se le società che svolgono il ruolo di leadership nel mondo capissero che è anche loro interesse diffondere questo valore, anche questo troverebbe la soluzione velocemente. La storia della caduta dell’URSS lo dimostra.

   La vera frontiera adesso è far sì che le persone trovino il loro senso e lo possano realizzare concretamente. È la politica che deve dare il linguaggio per sviluppare questo pensiero, per dare le prospettive ed evolvere dallo stato attuale di insoddisfazione ad un futuro soddisfacente e creativo. Infatti si parla ancora troppo della quantità di cose da possedere e troppo poco della qualità di ciò che si è e si desidera; bisogna dare parole al desiderio, alla prospettiva. Come ha detto Prodi in un’intervista alla “Stampa” gli italiani, ma non solo loro, cercano nel leader il “fenomeno”, colui che li salverà: ma il Salvatore non esiste, perciò gli elettori si disilludono sempre di più e sempre più in fretta e cambiano repentinamente idea su chi sostenere o meno. Il prezzo è che si sta distruggendo la fiducia nelle istituzioni democratiche. Il rischio grosso è quello che il leader del momento non rinunci al proprio potere personale e lo eserciti a costo della distruzione delle istituzioni democratiche, come è già avvenuto in diversi paesi.

   Se si considera questo, diventa evidente che il punto su cui investire tutto è la scuola: se non si cambia la scuola non si rinnova la società e non si costruisce niente. La scuola deve essere modellata ad accogliere il presente per creare una prospettiva. In questo senso serve veramente una riflessione profonda.

   Una civiltà si evolve se riconosce da dove viene. La nostra democrazia parte dalla vittoria della Resistenza sul Nazifascismo, fondata sulla scelta della libertà. Dobbiamo riconoscere la nostra storia e chiudere il passato come una cosa definitivamente conclusa, non perché lo si voglia nascondere, ma perché si è scelto qualcosa di diverso. Bisogna chiudere con tutti gli elementi residuali del fascismo ancora presenti nella nostra società: dal codice Rocco del sistema penale al servizio pubblico che considera il cittadino un suddito, un bambino che deve essere guidato dallo Stato, se no la minaccia della perdita della democrazia rimane sempre latente.

   Dobbiamo essere consapevoli del fatto che “la libertà e la dignità della persona” sono stati una scelta fatta e portata avanti dagli Italiani dal ’43 fino alla scrittura della Costituzione che ha dato origine alla Repubblica Democratica Italiana. Caso per caso si è dovuto scegliere cosa salvare, su cosa posare una pietra per non trasformare la giustizia in vendetta, per non far degenerare la Resistenza in guerra civile. Come origine non c’è stato un compromesso, ma una chiara decisione cui è seguito un altrettanto chiaro progetto. Certo la popolazione non è stata subito omogenea, conseguenza di aver avuto storie e governi differenti, ma una cosa univa gli italiani: l’analfabetismo. Dopo la costituzione del ’48 c’è voluto circa un ventennio per portare l’istruzione a livelli sufficienti ad avere un minimo di pensiero autonomo, un’opinione da parte di ciascun cittadino e le parole per saperla comunicare. Non a caso c’è stato il Sessantotto. I ragazzi si sono potuti riconoscere in una lingua comune e, grazie anche al Concilio Vaticano II, i principi cristiani sono potuti diventare i valori per la costruzione della convivenza civile e qualificata.

   Con l’opportunità di votare poi il cittadino ha imparato piano piano a rendersi conto del valore della scelta. Incominciamo adesso a capire il valore del voto; leggo così la percentuale di astensione alle elezioni di quest’anno: la gente è ormai consapevole del valore del voto e non lo dà a scatola chiusa su un progetto che non conosce. Ma non è ancora sufficiente, perché bisogna ricordare che il valore del voto sta nell’esercitarlo: l’astensione è un vuoto che finisce per essere riempito da chi ha la voce più forte, che in ambito politico tende ad essere l’aspetto conservativo, perché l’innovazione è più difficile perché normalmente le novità fanno paura. Non basta la consapevolezza del valore del proprio voto, i cittadini devono anche darsi la conoscenza dei meccanismi delle istituzioni democratiche, capire come funzionano. In questo senso all’educazione civica dovrebbe essere riconosciuta una posizione più importante nella formazione scolastica.

   Di fatto è con la conoscenza che si fa democrazia, uno dei compiti della politica oggi deve essere questo: fare scuola di politica. Dare gli strumenti per crearsi questa prospettiva e dare le coordinate di riferimento sia nel tempo che nello spazio, senza tralasciare la storia dei partiti. L’esercizio della scelta e della responsabilità personale deve diventare una realtà quotidiana, a tutti i livelli, qualunque sia il posto occupato nella società.

   La libertà si impara essendo liberi e la felicità la costruisci se stai gustando la tua vita. (GRAZIA BARONI)

LA GIUSTA IDEA DI EUROPA: noi, Berlino e il gas (di Antonio Polito, da “il Corriere della Sera” del 2/10/2022)

   Diciamoci le cose come stanno. Il cancelliere Scholz si è comportato sul gas più o meno come avrebbe fatto Salvini in Italia. Ha preso duecento miliardi a debito e li ha destinati ad aiutare imprese e famiglie tedesche: pagherà lo Stato la differenza tra il prezzo ideale e quello reale delle bollette, e lo finanzierà con uno scostamento di bilancio, in deroga alla sua tradizionale disciplina fiscale. Ma, a meno di non essere afflitti da una perniciosa forma di esterofilia, il fatto che Scholz lo faccia non vuol dire che abbia ragione Salvini. Anzi. Se proviamo a capire il perché, ci spieghiamo anche meglio come dovrà muoversi in Europa il prossimo governo italiano.

   Gli sbalzi del prezzo del gas in questo momento non sono determinati da scarsità del bene. Abbiamo ridotto sostanzialmente e rapidamente la nostra dipendenza dalla Russia. È un mercato con sede ad Amsterdam a fissare infatti il prezzo, su basi largamente speculative (scommesse su «future»). Se dunque i Paesi europei lasciano in piedi quel casinò, e versano anzi soldi pubblici sul tavolo da gioco, non fanno altro che finanziare chi ci sta strangolando. Se mettono invece un tetto alle puntate di quel tavolo, cosicché non sia più conveniente alzare la posta, riducono stabilmente il prezzo dell’energia. E, naturalmente, lo possono fare solo insieme.

   Credo che Giorgia Meloni abbia espresso nel migliore dei modi questa realtà dicendo: «Il tema non è come compensare la speculazione sul gas, ma come fermarla». Parole in sostanziale accordo con la posizione del premier Draghi. E questo è già un bene in sé: un’intesa tra governo uscente e governo in attesa è prova di robustezza della transizione democratica, e anche la migliore garanzia che i nostri interessi vengano ascoltati e rispettati in Europa.

   Con la sua scelta la Germania ha infatti invertito la rotta che l’Europa aveva preso durante la pandemia. Anche allora Berlino aveva cominciato così: usando la sua potenza economica e gli ampi spazi di bilancio, garantiti da anni di surplus commerciali e di rigore finanziario, per investire grandi cifre nel sostegno alle proprie aziende. Si trattava, allora come adesso, di una distorsione del mercato: una competizione sleale con i sistemi economici di Paesi che non potevano permettersi la stessa generosità. Alla fine l’Unione Europea, anche grazie alla pressione del governo italiano del tempo guidato da Giuseppe Conte, fece il grande passo: un piano di investimenti di 750 milioni di euro garantiti collettivamente da tutti. Una prima e storica forma di condivisione del debito. Ma, a quanto pare, anche unica.

   Perché ora (con un governo socialdemocratico al posto della Merkel) siamo tornati alle solite: invece di un’azione comune, ognuno per sé. È evidente infatti che la mossa tedesca può indurre altri in analoghe tentazioni. Ma, e qui è il problema, non tutti ce la possono fare. Anzi, quasi nessuno.

   L’Italia ha del resto già percorso questa stessa strada: 66 miliardi di euro spesi a sostegno del caro bollette. Ossigeno dovuto a chi sta soffocando. Ma se ora entrassimo nella logica di «ognuno fa per sé», quante altre risorse saremmo in grado di mobilitare? E per quanto tempo ancora, se il prezzo resta così alto? La Germania pensa di poter vincere la guerra dell’energia ingaggiata dalla Russia affidandosi alla sua potenza economica. Noi ne abbiamo la forza? Se ricorressimo così massicciamente al debito, offrendo titoli di Stato che non sono certo il gold-standard come quelli tedeschi, quanto ci costerebbe?

   Questa domanda dovrebbe essere al cuore di ogni ragionamento su come far valere al meglio il nostro interesse nazionale nel mondo di oggi. È indubbio che quell’interesse vada difeso, con le unghie e con i denti; ed è davvero ingenuo scoprire oggi con scandalo che la Germania, come del resto ogni altro Paese europeo, lo fa regolarmente a Bruxelles.

   L’Europa è innanzitutto convenienza. Ma se agissimo da soli, competeremmo meglio con la Germania? Si è fatta, anche per colpa dei media, una gran confusione sull’Unione Europea: non è la pace perpetua nella competizione tra Stati, ma ne è il campo di gioco unico, il sistema di regole comuni. Il fatto che la Germania provi oggi a giocare da sola rende se possibile anche più necessario per noi continuare a stare in quel campo, l’unico in cui possiamo spuntarla.

   Magari perché altri quattordici giocatori su 27 (Francia compresa) sono con noi, e hanno firmato una richiesta comune di un tetto sul gas. Come sempre in Europa, una trattativa è in corso. E l’esito non è affatto scontato. Ciò che sta accadendo è dunque un’efficace prova del fuoco per il futuro governo di destra. Può trarne la conclusione che avevano ragione i «sovranisti», e che ci conviene fare da soli; magari seguendo la disastrosa lezione fiscale del governo «fratello» britannico di Liz Truss.

   Oppure cercare un modo nuovo, e se ci riesce anche più assertivo del passato, di stare in Europa sfruttandone le regole comuni a nostro vantaggio. Le sorti dell’Italia sono infatti ormai inscindibili da ciò che l’Unione riuscirà a fare, nel campo dell’economia come in quello dell’energia come in quello dell’ambiente.

   È un destino che talvolta ci sembra ingrato, e invece è la nostra migliore chance. Se gli interessi ci dividono, i valori delle società aperte ci uniscono, creando una sfera pubblica paneuropea. Possiamo sperare di essere ascoltati perché in Germania come altrove c’è un’opinione libera, un sistema dei media indipendenti e una dialettica politica che consentono alle idee di circolare e affermarsi.

   Per questo Stato di diritto e libertà sono beni preziosi che dobbiamo difendere anche all’interno dell’Unione (in Ungheria per esempio). Chi sottovaluta questa ricchezza, o addirittura la disprezza, dovrebbe dare un’occhiata alle file di giovani russi in fuga dalla coscrizione obbligatoria; oppure alle scene delle giovani iraniane che rischiano la vita per una ciocca di capelli. Chiunque sia al governo, questa consapevolezza dovrebbe essere patrimonio comune di destra e sinistra. L’Europa, per parafrasare Renan, è un plebiscito che si rinnova ogni giorno, e che si fonda sulla dimensione dei sacrifici compiuti. (ANTONIO POLITO)