A conferma delle tesi sostenute dal sociologo De Masi nell’articolo di Micromega del 30 ottobre scorso – riportato in NUOVO CONFRONTO – vi allego quest’altro articolo, sempre di De Masi, apparso su “Il Fatto quotidiano” del 1 Novembre 2020. E’ un commento sul recente rapporto “THE FUTURE OF JOBS 2020” del World Economic Forum relativo al tema “attuale pandemia e spinte di accelerazione nei processi del futuro del lavoro”. (GIORGIO SARTORI)
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IL LAVORO SMART È UN CANNIBALE
di DOMENICO DE MASI, 1/11/2020, da “il Fatto quotidiano” – www.ilfattoquotidiano.it
– Futuro. La produttività da remoto cresce del 15-20% e verso questa modalità “migrerà” il 44% degli occupati. Avremo una contrapposizione massiccia con chi – dagli operai ai chirurghi – continuerà a spostarsi –
La ripresa della pandemia rende urgenti due riflessioni sul mondo del lavoro: una, più contingente, su come tamponare nell’immediato i danni provocati dai vari tipi di lockdown che si stanno adottando in Italia e nel mondo; un’altra, più radicale e di lungo raggio, su come evolverà il mercato del lavoro e cosa si dovrà fare dopo che la pandemia sarà sconfitta.
Durante questi mesi di collasso economico, alcune aziende (come quelle del settore farmaceutico e dell’e-commerce), stanno facendo affari d’oro; la maggior parte vede ridotto il proprio giro d’affari; una minoranza non esigua sta per collassare. Il riflesso complessivo sull’occupazione è comunque drammatico e può essere “ristorato” solo con rimedi parziali come la cassa integrazione, i bonus, il Reddito di cittadinanza o quello di emergenza.
Ma proprio mentre si ricorre a questi rimedi tattici, occorre che si abbia la lungimiranza di impostare un piano strategico per equilibrare il mercato del lavoro quando, passata la tempesta, occorrerà ripartire secondo un programma intelligente. A quel punto i problemi recessivi creati dal Covid-19 si sommeranno a quelli processivi che già urgevano ben prima della pandemia.
I problemi di vecchia data, che il coronavirus non ha eliminato ma evidenziato e acuito, derivavano soprattutto dall’irruenza del progresso tecnologico e dei suoi effetti sul lavoro. A partire dall’avvento industriale, due secoli or sono, si sono susseguite e sommate tra loro quattro ondate di questo progresso: prima le macchine automatiche come i telai, poi le macchine elettromeccaniche come le catene di montaggio, quindi le macchine digitali come i computer, ora l’Intelligenza Artificiale.
Tutte e quattro queste trasformazioni hanno puntato all’aumento esponenziale della produttività e ogni volta siamo risusciti a produrre più beni e più servizi utilizzando più lavoro meccanico e meno lavoro umano. Come ho ricordato più volte, 130 anni fa, gli italiani erano 30 milioni e, in un anno, lavorarono 70 miliardi di ore. Lo scorso anno eravamo 60 milioni e abbiamo lavorato 40 miliardi di ore ma, lavorando 30 miliardi di ore in meno, abbiamo prodotto centinaia di volte in più.
Contemporaneamente è mutata anche la qualità del lavoro restante: nella metà dell’Ottocento, su 100 lavoratori, 94 erano operai; oggi gli operai sono il 30 per cento di tutta la forza lavoro mentre tutti gli altri – cioè il 70 per cento – sono “colletti bianchi” di cui la metà, composta da professionisti, manager, imprenditori, artisti e scienziati, svolge attività creative. Piaccia o non piaccia, andiamo verso un mondo in cui il progresso tecnologico sottrarrà sempre più lavoro ai lavoratori in carne e ossa.
Del resto, è proprio in questo che consiste il progresso. Per evitare che la disoccupazione aumenti a dismisura, l’unico strumento risolutivo sarà la progressiva riduzione dell’orario di lavoro.
Tutto questo fu previsto lucidamente già 90 anni fa da JOHN MAYNARD KEYNES e viene confermato dal recente rapporto THE FUTURE OF JOBS 2020 del WORLD ECONOMIC FORUM, secondo cui la pandemia “ha accelerato l’arrivo del futuro del lavoro” perché “l’adozione del cloud computing, dei big data e dell’e-commerce rimane una priorità assoluta per i leader aziendali, seguendo una tendenza stabilita negli anni precedenti. Tuttavia, c’è stato anche un significativo aumento dell’interesse per la crittografia, i robot non umanoidi e l’intelligenza artificiale”. Il risultato è che “a differenza degli anni precedenti, la creazione di posti di lavoro sta rallentando mentre la distruzione di posti di lavoro accelera”.
Già negli anni precedenti la pandemia i robot avevano sostituito buona parte della fatica operaia, i computer avevano assorbito gran parte del lavoro impiegatizio e avevano fornito un grande aiuto alle attività creative. Ora l’Intelligenza Artificiale stava facendo il resto. Ma, a tutto questo progresso tecnologico, si è ora aggiunto un imprevisto sviluppo organizzativo con effetti molto simili di labour saving. Benché da molti anni si parlasse di telelavoro e di smart working, vantandone vantaggi accertati sia per i lavoratori che per le aziende e per le città, il primo marzo di quest’anno in Italia telelavoravano circa mezzo milione di impiegati. Ma il 10 marzo, come per incanto, sotto la frusta del coronavirus e del lockdown, questi telelavoratori sono schizzati a otto milioni, cioè la metà di tutti gli impiegati, i funzionari, i manager e i professionisti esistenti in Italia.
Il maggiore effetto, ampiamente previsto dai sociologi, ma sorprendente per i manager che avevano sempre ignorato quelle previsioni, è stato un aumento notevole della produttività degli smart workers. Non a caso, tutte le ricerche condotte sull’adozione del lavoro agile negli anni precedenti il coronavirus dimostravano che, con esso, la produttività cresce del 15-20 per cento. Ciò significa che, dove il lavoro in ufficio richiedeva 100 dipendenti, con lo smart working ne bastano 80-85.
Torniamo al report del World Economic Forum: “Il futuro del lavoro è già arrivato per la grande maggioranza dei colletti bianchi online. L’84% dei datori di lavoro è pronto a digitalizzare rapidamente i processi di lavoro” in modo da “spostare il 44% della propria forza lavoro per operare da remoto”. In Italia questo processo è più esteso e veloce che altrove.
In complesso, dunque, dobbiamo attenderci che, dopo la pandemia, una pluralità di fattori agirà simultaneamente nel senso di produrre di più con minore impiego di lavoro umano. Alcuni posti saranno distrutti dal lockdown; altri saranno assorbiti dai robot e dall’Intelligenza Artificiale; altri dalla conversione del lavoro d’ufficio in smart working; altri ancora dalla soppressione di attività aziendali ed extra-aziendali connesse al lavoro in ufficio (mense, guardianie, bar, ecc.); altri dall’esuberanza di immobili determinata dalla dismissione degli uffici; altri ancora dalla sostituzione di molte attività intermediarie grazie all’e-commerce e alla gig economy.
Dunque, passata la pandemia, la ricchezza riprenderà a crescere, ma sarà prodotta sempre meno dagli uomini per cui sarà difficile ripartirla come facciamo tuttora, cioè in base alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Alcuni continueranno a prestare servizi alle persone (medici, infermieri, badanti); altri svolgeranno attività creative inventando nuovi prodotti e nuovi servizi; ma per un numero crescente di persone non ci sarà lavoro o ce ne sarà poco e precario per cui si dovrà istituire un REDDITO UNIVERSALE, di cui l’attuale REDDITO DI CITTADINANZA non è che un pallido antesignano.
Inoltre si profila una nuova contrapposizione frontale tra i milioni di operai, chirurghi, insegnanti, barbieri, costretti a recarsi quotidianamente sui luoghi di lavoro, e i milioni di privilegiati che potranno consentirsi lo smart working. (DOMENICO DE MASI)
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(qualche dubbio sull’-inevitabile?- consolidarsi dello SMART WORKING):
IL SOCIOLOGO PETRILLO – IL PROF, IL VIRUS E LO SMART WORKING
“Che brutta cosa la fuga dalle città con il telelavoro”
“LA GRANDE FUGA DALLE CITTÀ: È LIBERTÀ O UN EFFETTO OTTICO? “
di Antonello Caporale, 16/11/2020, da “Il Fatto Quotidiano”
– Riassumendo professore: in città rimarranno solo gli sfigati. Chi può si allontanerà: campagne, paesi. “La sintesi estremizza ma non bara.” –
Con ANTONELLO PETRILLO, che studia i fenomeni sociali e li allinea nel loro spazio e nel loro tempo, ci interroghiamo su questo fuggi fuggi da Covid.
“Di ‘secessione delle élites’ ha parlato Bauman molto prima che la pandemia facesse da miccia esplosiva.”
Negli anni novanta abbiamo conosciuto la delocalizzazione dei mezzi di produzione, oggi tocca alle persone.
“Fenomeno con un enorme impatto sulla nostra vita, sulle condizioni di lavoro, sui livelli stessi di democrazia.”
Prima erano i ricconi a scegliere di gestire i loro affari da lontano. Isole incantate, castelli.
“Oggi la piramide si abbassa. Lascia il luogo fisico anche chi è solo benestante e può permettersi di valutare dove abitare”.
Non finirà con la pandemia questa migrazione del ceto medio alto dalle città alla campagna.
“Non solo la classe benestante ma chiunque potrà, tenderà a scegliere dove vivere, e gli sembrerà enorme la fortuna. I centri storici si svuoteranno, i paesi si riempiranno. Ma chi se ne avvantaggerà? È giusto fermarci a riflettere.”
Gode chi scappa o chi resta?
“Chi resta ubbidirà alla sua condizione sociale. Chi lascia subirà l’effetto ottico della libertà.”
L’effetto ottico.
“L’uomo è un animale sociale. Vive se ha relazioni. In casa, con lo smart working, sarà parte di quell’insieme di solitudini che vedranno ampliate le loro capacità di lavoro e ridotte tutte le altre. Si avrà una percezione alterata del proprio ruolo, un deficit della capacità di risposta sindacale se i ritmi, la qualità, la densità dell’impegno saranno superiori a ciò che stabilisce il contratto di lavoro. Lo smart working nasce decenni fa e amplia a dismisura la nostra disponibilità di tempo.”
Saremo a casa, in famiglia.
“Ecco l’effetto ottico. Più a casa, più in famiglia, ma anche più al lavoro, più connessi. Ed essendo più soli, più indifesi. Questa condizione avvantaggia il capitale di sicuro.”
Un attimo, cambio penna, ho finito l’inchiostro.
“Inizi a ragionare sul suo inchiostro. Prima la penna e tutti gli strumenti del suo lavoro, quelli basici (cancelleria, stampante eccetera) li trovava in redazione. Adesso li acquista lei. Moltiplichi per “n” unità. E poi moltiplichi l’energia che lei consuma e che l’azienda risparmia. Lo spazio che lei occupa e che l’azienda riduce.”
Ma io vivo dove voglio, scelgo il luogo eletto.
“Le parrà di scegliere. Ma dimentica che le città sono luoghi di libertà e di crescita culturale. Il teatro, il cinema, la piazza, l’incontro con gli altri, il confronto con gli altri. La politica. I canali ideologici sono scomparsi, le restano i social, capisce?”
Lei allora perché ha scelto la campagna?
“Per il medesimo impulso: vivo in tranquillità, tra i miei boschi irpini. Lontano dal pericolo del virus e anche dal casino metropolitano. Ma lo smart working, che mi permette di vivere dove ho scelto, mi allontana dall’università, dai miei studenti e dai miei colleghi. L’università è anzitutto un grande centro di distribuzione culturale, di smistamento e infusione delle competenze. Un luogo dove si studia e dove capita persino di innamorarsi. Ma di più: le mie lezioni, come quelle di decine di centinaia, di migliaia di colleghi, sono riversate nella rete, in un certo senso spossessate dalla proprietà intellettuale, in vario modo in futuro commerciabili, monetizzabili. Da chi?”
Ma l’Italia interna, della quale fino a ieri abbiamo detto che sta per scomparire, godrà il beneficio di questa migrazione.
“Territori finora marginali troveranno una vita nuova. Ma i nuovi inquilini di queste campagne alimenteranno sempre più lavori a basso reddito: i corrieri, i servizi domestici, l’asporto. Chi non fa smart working dovrà pedalare, fare su e giù in bici, in moto o col camion. E chi è in smart resterà immobile. Ricco ma fermo nel giardino di casa”.
(di ANTONELLO CAPORALE, da “IL FATTO QUOTIDIANO” del 16/11/2020 – ANTONELLO PETRILLO insegna Sociologia presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Autore di numerose pubblicazioni, ha dato vita nel 2008 al progetto URiT (Unità di Ricerca sulle Topografie sociali): lo scopo è indagare i rapporti di potere tra locale e globale. L’esplorazione scientifica (e le pubblicazioni del progetto URiT) riguardano le strategie di controllo e gestione (dello spazio e dei corpi) all’interno delle dinamiche mondiali del tardo-liberalismo e le resistenze da essi generati sul territorio)