Riflettendo sul nostro contesto presente, vien da chiedersi se sappiamo davvero dove stiamo andando (di MARIO FADDA)

      Riflettendo su quanto propongono le informazioni e i commenti di David Carretta, recentemente pubblicati su “Il Foglio” circa l’attuale fase di evoluzione (crescita?) dell’Unione di cui facciamo parte fin dalla sua costituzione (v. https://nuovoconfronto.wordpress.com/2024/05/11/2004, ndr), vien da chiedersi se sappiamo davvero dove stiamo andando.

   Perché subito il dubbio diventa certezza: no, abbiamo perso la rotta e anche la bussola.

   Quando a me, ventenne, venne proposta l’idea di pensare che vivere in Europa significasse riconoscersi parte di una “comunità”, mi sentii obbligato a uscire dal sopore postbellico, in cui ancora eravamo immersi vivendo di “miracoli” economici e profonde evoluzioni sociali.

   Era la fine degli anni ’50 e il nostro Paese non aveva ancora superato la dilaniante separazione tra chi era vissuto di speranze imperiali e chi aveva cercato di liberarsi dell’illusione che basti un’idea, che diventa ideale, per essere più liberi, confondendo libertà nell’agire d’impeto, con l’autonomia di chi pensa, quindi “di conseguenza” sceglie e opera, cercando la massima integrazione possibile con altri, che riescono a realizzare i propri obiettivi.

   Anzi: nell’Italia dilaniata dall’adesione a una “idea superiore” di libertà, in cui apparentemente trovava soddisfazione solo la metà che aveva “resistito” al potere fondato sugli ideali, evoluti in dittatura, si pose subito il cuneo che separò ulteriormente chi credette in una libertà guidata da una fiaccola (così veniva accolto il migrante in fuga da un’Europa distrutta, entrando nel Paese delle meraviglie) a un’altra metà, guidata da una Stella Rossa.

   Insomma, torno al ventenne che, sentendosi proporre una Comunità di eguali, confida in essa, pur vedendosela proporre solo come “mercato comune”.

   La storia che ne è conseguita è solo un ricordo per i più, e le scelte che ne derivano nel nostro tempo vanno proposte a chi rimane legato a visioni arcaiche della politica, in cui prevale ancora, in molti, il primato dell’ideale, come riferimento fondante ogni scelta e giustificante ogni decisione.

   E’ certamente preoccupante il permanere di posizioni individuali, sostenute con la venerazione del “condottiero”, celebrate con manifestazioni ordinate, con braccio alzato in segno di saluto, dichiarazione di presenza e adesione.

   E’ una cosa che, personalmente, mi rattrista, ma che pongo sul piano di chi, nei boschi nordamericani, si esercita all’uso delle armi, come pratica di difesa di libertà personale e comune, o chi sulle montagne bavaresi o nei boschi del Danubio, si esercita in identiche abilità.

   E’ insomma la coda di una fase evolutiva che pure ha indotto l’homo sapiens a confidare un po’ di più nel confronto reciproco, ma che purtroppo non ha ancora scalzato l’idea che il riferimento principale vada posto in un ideale, riconosciuto da tanti come riferimento importante, giustificante ogni scelta individuale anche quella più personalistica, che però evolve inevitabilmente nell’egoismo!

   Tale da diventare un proporsi all’altro con uno “stai con me o sei contro di me”: ecco la vita dei partiti politici!

   Insomma, occorre indurre nelle vicende sociali un passo avanti radicale, una visione culturale e politica fondata sulla capacità personale di dotarsi di strumenti adeguati per procedere nel continuo processo evolutivo di cui siamo, contemporaneamente, soggetto e oggetto.

   La prima fase di auto-indagine che, personalmente, ho dovuto affrontare è quella di cercare di esplicitare se avessi individuato il fine cui dedicare la mia esistenza e debbo dire, con grande gioia, che a questa domanda ho visto corrispondere molte persone, che stavano vivendo varie forme di riconsiderazione dei percorsi di provenienza, di fede, di partito, di scelte personali individualistiche, di cui stavano costatando l’insufficienza, se non addirittura l’inutilità.

   Una volta espresso il mio fine, al più alto livello adottabile di libertà personale, ho dovuto affrontare il confronto con chi mi sembrava percorrere gli stessi itinerari, constatando l’esistenza di alcuni elementi di immediata necessità di riduzione dei miei fini, così come vedevo nelle persone più sincere con cui mi capitava di incontrarmi, capendo che alcune condizioni storiche non erano facilmente o immediatamente affrontabili.

   Di qui il passaggio da “fini” a “obiettivi”, dando a questa seconda parola il peso di tutto quanto diventava “prevedibilmente” realizzabile in tempi programmabili e partecipati da molti.

   A questo punto io pongo la necessità di pensare la propria presenza nel tempo attraverso un “progetto” personale.

   Dotarsi di un progetto stabilito in base agli obiettivi considerati perseguibili nel tempo di cui dispongo (non certo il ciclo elettorale!) diventa il passaggio mediante il quale avviare un confronto continuo e il più ampio possibile, per stabilire relazioni di corrispondenza con altri, fino alla configurazione di scelte comuni.

   Da qui in poi, il percorso può articolarsi riprendendo in mano strumenti del passato, quali la partecipazione a forme di governo della politica, come i partiti, sapendo però che nessuno dei partiti esistenti è libero della deviazione originaria: nascita da un’idea superiore che richiede solo accettazione, adesione e sostegno elettorale.

   Insomma, qui si pongono in evidenza tutti i limiti del sapiens, che fonda le proprie idee su analisi e valutazioni che sanno vedere la differenza tra bene e male, ma nella scelta, opera poi con strumenti di affermazione, anche violenta, su chi la pensa diversamente.

   Sono tre secoli che l’umanità ha scoperto l’importanza di saper ragionare, ma poi è ricaduta, con tragedie di cui viviamo ancora l’attualità, nell’equivoco di volere avere ragione.

   Lotta tra portatori di idee, diventate ideologie e quindi degli strumenti da ciò derivati, i partiti politici.

   Ovviamente il gioco ha riaperto la strada anche a chi dell’ideologia non aveva mai saputo fare a meno e che ritroviamo oggi, più nervoso che mai per la lunga attesa, nell’orto dei “meloni”.

   Mentre gli scontenti accettano questa apparenza di protezione, occorre dare vita a un progetto capace di esporre quanto noi abbiamo scelto come fine del nostro vivere, con gli strumenti utili per conseguirli e, quindi, essere in grado di confrontarli con chi ha intrapreso un percorso analogo.

   Solo da qui e con questa capacità di presenza e chiarezza di proposta si potrà pensare di ricollocarsi in un agone dove confrontarsi con chi continua a praticare, privilegiandolo, il percorso troppo rapido di “essere partito”, confuso poi con chi solo “vota per un partito”.

   E’ un cambiamento d’epoca, in cui il sapiens deve lasciare spazio al suo successore, capace di amare (che è l’opposto di subire) e proporre e realizzare con altri un progetto di cambiamento radicale delle relazioni che possono trasformare la società in comunità.

   Questo è il futuro che comincia oggi.

(MARIO FADDA)

Lascia un commento